7 film da guardare in quarantena
Recenti titoli curiosi sfuggiti all'attenzione generale da recuperare
Partiamo dal presupposto che, se state leggendo queste righe, il vostro senso civico e il vostro solido senso di responsabilità dovrebbero avervi indotti a tapparvi ben bene al calduccio della vostra comoda casetta, in modo da non dare ulteriori motivi all’incoronato virus di proseguire ulteriormente nelle proprie pandemiche scorribande. Ma confidando nel fatto che, in quanto nocturniani, voi tutti siate lettori e cinefili ben responsabili, abbiamo deciso di rende un poco più piacevole il vostro domicilio forzato, ben sapendo che, in questa situazione, uno dei pochi diletti in grado di far passare agevolmente ore e giorni può essere quello di tuffarsi a capofitto in qualche ottima visione cinematografica. In attesa ovviamente che i proiettori tornino a illuminare i bianchi schermi delle sale e che le poltroncine possano essere nuovamente invase da fiumi di pop corn. Perciò, in un clima di totale sconvolgimento della consueta programmazione mensile, con uscite posticipate o addirittura cancellate, abbiamo ben pensato di farvi cosa gradita gettando un rapido sguardo nel passato più o meno recente, alla ricerca di titoli a nostro avviso curiosi e degni di nota che, per un motivo o per l’altro, avendo esordito per lo più direct-to-video, sono sfuggiti all’attenzione generale, meritando invece una maggior considerazione da parte di chi, come voi, sa ben distingue a naso la qualità delle cose. Per voi la nostra selezione di 7 film da guardare in quarantena:
1. Aniara (Pella Kagerman, Hugo Lija, 2018)
Intendiamoci: non è che in quel della fredda Svezia se ne stiano tutto il giorno a confezionare sedie e tavoli pieghevoli con cui colonizzare i nostri bei salotti. Perciò, quando un paio d’annetti orsono Pella Kagerman e Hugo Lilja ebbero la quanto mai azzardata idea di adattare per il grande schermo il filosofeggiante e distopicissimo romanzo di Harry Martinson Aniara del 1956, moltissimi, tanto in patria quanto fuori, non avevano la minima né di che cosa diavolo si stesse parlando né di ciò che ne sarebbe venuto fuori. Un grandissimo peccato, perché, per quei tre o quattro che hanno avuto modo di mettere le mani su questo piccolo gioiellino e darci un’attenta occhiatina – dopo il fiacco e poco responsivo passaggio al Trieste Science + Fiction Festival 2018 –, beh, la sorpresa è stata a dir poco folgorante. Tutto prende forma a partire da una premessa non particolarmente originale, con un folto equipaggio di terrestri che, per fuggire all’ormai concretizzato cataclisma climatico che ha reso il pianeta madre sempre più invivibile, decidono di imbarcarsi su di una lussuosissima nave da crociera spaziale – con tanto di negozi, centri benessere e divertimenti a go go – per tentare di cercare miglior fortuna in quel di Marte. Quando però un’improvvisa collisione con un gruppo di asteroidi devia irreparabilmente la rotta del vascello galattico, i poveri omuncoli si troveranno costretti a vagare per giorni, mesi, anni e addirittura secoli alla volta dell’ignoto spazio profondo, regredendo sempre più ad uno stato mistico e tribale che farà rinascere concetti ormai sopiti come la superstizione e la magia. Decisamente spostato più verso una space odyssey esistenzialista di stampo tarkowsyano, condita da sospese e dilatatissime atmosfere nordiche firmate dallo score di Alexander Berg, Aniara riporta alla luce e tratta decisamente con miglior garbo la tematica della relatività temporale già frettolosamente sviscerata da Nolan con Interstellar, lasciando da parte per un attimo il delirio da imitazione kubrickiana per confezionare quello che, a conti fatti, altro non è che un intrigantissimo ed emotivissimo kammerspiel spaziale, nel quale, come scienziati intenti ad osservare una colonia batterica al microscopio, gli spettatori si trovano nella condizione di ammirare tutte le diverse sfumature dell’animo umano dinnanzi alla consapevolezza di un destino ormai segnato.
2. I’ll Take Your Dead (Chad Archibald, 2018)
Per chi ha già qualche decade sul groppone ed è amante dei brividi forti a basso budget, nominare Chad Archibald riporta alla mente e al cuore un mucchio di nostalgici e orrorifici ricordi da un passato straordinariamente recente. E dire che piccole perle di serie B come The Drownsman, Ejecta e Bite, oltre ad esse state prese in considerazione da poco più che quattro gatti spelacchiati, non hanno ancora soffiato sulla loro decima candelina, continuando tuttavia a far dannatamente parlare di sé nel corso di questi ultimi travagliati anni. Quando dunque, nei brulicanti meandri del direct-to-video, ci siamo trovati tra le mani, quasi per caso, I’ll Take Your Dead, la curiosità ci è morbosamente montata in corpo, complice forse un titolo che, già di per sé, non ammette particolari fraintendimenti. E siamo ben lieti di affermare che le già alte aspettative non sono state minimamente scalfite, soprattutto dopo aver assistito alle vicissitudini di Aidan Devine costretto a tirare a capare, in un casolare sperduto nel bel mezzo dello sfintere del nulla, con l’insolita occupazione di smembratore e occultatore di cadaveri per conto di un delinquente di passaggio bisognoso di disfarsi al più presto e senza troppo rumore dell’ingombrante mortifero carico. La giovane figlioletta Ava Preston nota tutto e tace, malgrado gli inquieti (e inquietanti) spiritelli degli accoppati avventori tornino a far baccano dal profondo della cantina, con apparizioni così terrificanti che, a confronto, i Casper de Il sesto senso paiono un branco di burloni da mercato rionale. Ma attenzione, perché – ed è qui che sta il bello –, mentre nel cult di Shyamalan era l’impaurito e boccheggiante Haley Joel Osment ad avere l’esclusiva assoluta della visione della gente morta, qui i fantasmini e le loro terribili azioni vengono percepite da chiunque capiti loro a tiro. Ne verrà presto a saper qualcosa la povera Jess Salguero, erroneamente creduta morta dai suoi aguzzini e da loro scaricata senza ritegno in quel dell’infestata magione, costretta da una parte a tentare di sfuggire alla morbosa prigionia dei due padroni di casa e, dall’altra, a non dar troppo credito alle visite non particolarmente gentili degli ectoplasmatici e incacchiati inquilini del piano di sotto. Di più non è saggio dire, anche per non togliere il sale della curiosità e della sorpresa a quanti – e son molti, credete – che, o per sfortuna o per imperdonabile indolenza, si son lasciati sfuggire da sotto l’iride un tal piccolo fiorellino, bisognoso di molte più attenzioni per non rischiare di appassire ben prima del tempo.
3. Prospect (Chris Caldwell e Zeek Earl, 2018)
Quando il piatto langue l’ingegno s’aguzza. Un vecchio e saggio adagio che, fin dai tempi di Corman e compagni, ha continuato a muovere e dar conforto a milioni di giovani cinematografari ricchi di idee ma poveri di sodio e soldini. Un mantra che, quasi sicuramente, i giovani e talentuosi Chris Caldwell e Zeek Earl devono aver più volte recitato nel corso della lavorazione del loro Prospect, splendido, intimissimo e riuscitissimo esempio di low-fi in cui, malgrado un portafogli decisamente poco panciuto, alla fine sono miracolosamente saltate fuori una scrittura e una messa in scena decisamente di gran classe. A dirla tutta, già con il loro cortometraggio omonimo, i due cineasti canadesi avevano dimostrato di non aver necessità di particolari cazzabubbole per portare a casa qualcosa di sostanzioso. Quando poi si è deciso di allungare un po’ l’impasto, i Nostri han ben pensato di infarcire ulteriormente il tutto con saporiti ingredienti, ottenendo un’intrigante survival space story che vede un padre (Jay Duplass) e la di lui intrepida figlioletta (la rivelazione Sophie Tacher) intenti a saltare di pianeta in pianeta con l’intento di scovare e poi rivendere delle preziosissime gemme che crescono, manco a dirlo, nelle viscere purulente e potenzialmente letali di schifosissime piante aliene. Quando però l’uomo di casa viene mandato all’altro mondo per mano del cacciatore senza scrupoli Ezra (Pedro Pascal), la giovane pulzella delle stelle si troverà costretta, suo malgrado, a far coppia proprio con l’assassino del suo amato genitore per poter sopravvivere in un ambiente ostile popolato da inquietanti mormoni spaziali, predoni arrivisti e mille altre immonde amenità. Girato quasi interamente tra la folta vegetazione dell’Olympic National Park di Washington con un risicatissimo numero di persone e di baiocchi, Prospect vive e riluce esclusivamente grazie alla freschezza della scrittura e alle suggestive atmosfere distopico-apocalittiche che, per sopperire a un’endemica mancanza di risorse, lasciano galoppare a briglia sciolta la fantasia dello spettatore, solleticandolo per giunta con tutta una serie di tematiche in sottotraccia che vanno dallo sfruttamento capitalistico delle risorse naturali, all’estremismo religioso fino a tirare in ballo il sacro dilemma di colpa e perdono.
4. May the Devil Take You (Timo Tjahjanto, 2018)
Se ti chiami Timo Tjahjanto, vieni dalle Filippine e adori il cinema di genere con tanto sangue e parecchia pelle d’oca, beh, diciamo pure che non parti particolarmente avvantaggiato. Ma è chiaro che a te ciò non importa, perché, armato di passione e perseveranza, prosegui imperterrito per la tua strada. Cresci, ti fai una famiglia, studi, ti diplomi e finalmente inizi a dar sfogo, con moderato successo, ai tuoi cinematografici sogni di gioventù. Certo, gli inizi non sono facili, costretto a spartire la sedia di regia col tuo fratellino Kimo per sfornare cosine davvero carucce come Macabre, Killers e qualche episodio di progetti collettivi come V / H / S / 2 e The ABC’s of Death. A un certo punto però la tua sete di indipendenza si fa insaziabile e decidi dunque di metterti in proprio, presentandoti al mondo con un discreto successo come Headshot. Ma, sotto sotto, in cuor tuo un nome continua a frullarti in testa fin dall’infanzia. Il nome di un tuo grande idolo cinematografico che, in un modo o nell’altro, ti sei ripromesso di omaggiare quando i tempi lo avrebbero permesso. Il nome, ovviamente, è quello di Sam Raimi. Ed ecco che, quando tutto sembrava perduto, mamma Netflix ti è provvidenzialmente venuta incontro, proponendoti di sfornare un delirio horror a tua scelta con cui ingrossare le fila della propria offerta internazionale. È nato dunque così May the Devil Take You, certamente una delle cose più scult, kitsch e grottesche che lo streaming a pagamento ci abbia mai offerto dalle origini sino ad oggi. Fin dall’incipit in stile Drag Me to Hell, con un terrificante sacrificio satanico a scopo propiziatorio chiesto da un imprenditore ad una levitante santona buddista. Proseguendo, poi, il tutto si è fatto ancor più palesemente deviato quando, a seguito della morte del ricco uomo d’affari per mano di una virulenta malattia degna del peggior Cronenberg, i numerosi e voraci eredi si ritrovano tutti riuniti nell’inquietante magione del defunto per spartirsi l’agognata eredità. Salvo poi doversi confrontare con i malefici residui del demoniaco patto stipulato a suo tempo dal padrone di casa. Quando i nostri incauti personaggi, a seguito di alcune poco felici incursioni in cantina, iniziano a trasformarsi in un’orda di zannuti esseri immondi, ecco che le frenetiche, surreali e indiavolate atmosfere di The Evil Dead iniziano a far capolino tutt’altro che velatamente, buttando completamente in vacca ogni pur pallida coerenza narrativa per gettarsi a capofitto in una ricca e stordente girandola di trovate visive decisamente gustose e azzardate. Nonostante le coccole produttive di Sua Eminenza dello streaming, May the Devil Take You è uscito, passato e scomparso come una dolce brezza estiva di cui nessuno pare essersi minimamente accorto.
5. Freaks (Adman Stein e Zach Lipovsky, 2018)
Domanda a bruciapelo: è mai possibile oggi sfornare un film di supereroi al di fuori dei solidi recinti Marvel e DC? Pronta risposta di Adman Stein e Zach Lipovsky: certo che sì signori cari! Una storiella semplice semplice che parte dalle anguste quattro mura in cui la piccola Lexy Kolker vive segregata assieme al padre Emille Hirsch, quest’ultimo deciso a far si che il mondo esterno e i suoi non ben identificati pericoli restino il più possibile fuori dai piedi. Perché mai? Che sta succedendo? Come mai le persone del mondo esterno si comportano in maniera così bizzarra? Si tratta di un rapimento di minore? O forse di qualche ennesima catastrofica apocalisse zombesca in pieno svolgimento? Un gran bel mucchio di domande che ben presto, quando il tutto sembra pendere verso i territori di un nuovo Room, iniziano pian piano a trovare una risposta decisamente inaspettata. Nonostante l’apparente fattura da indie movie, ben visibile si dall’inizio nella volontà di prediligere l’introspezione psicologica rispetto a calci, pugni e tafferugli, questo Freaks sceglie (letteralmente) di volare ben alto, sia sul piano della scrittura, sia su quello dell’effettistica speciale sia, soprattutto, su quello della recitazione, grazie alla presenza straordinaria di gente tosta e scafata del calibro di Bruce Dern, Grace Park e Amanda Crew, tutti perfettamente calati in un racconto ricco di fascino, suspense e parecchi assi nella manica. Un racconto capace di intrattenere e sorprendere anche e soprattutto coloro che vivono con il martello di Thor sotto il cuscino e l’armatura di Iron Man ben stirata nell’armadio. Decisamente una delle curiosità più allettanti del recente trascorso cinematografico, passata purtroppo in gran sordina e senza i dovuti clamori del caso.
6. Replace (Norbert Keil, 2017)
A far bene le cose ci vuol davvero poco. Basta una buona idea, una solida mano e parecchia determinazione. Tutte qualità che Norbert Keil pare aver pienamente dimostrato nel dare alla luce un thriller fantascientifico dai vaghi connotati orrorifici che quasi nessuno si è filato ma che, a ben tre anni dalla sua rapidissima distribuzione, andrebbe necessariamente rispolverato a dovere. In primo luogo va detto che ci troviamo dinnanzi a un indie in piena regola, dove l’idea centrale è tanto semplice quanto profondamente inquietante: una giovane e bella fanciulla (una conturbantissima Rebecca Forsythe), dopo aver scoperto di essere affetta da uno strano e repentino invecchiamento precoce della pelle, decide di affidarsi alle cure sperimentali di una alquanto equivoca dottoressa (Barbara Crampton), quest’ultima promotrice di un procedimento parascientifico dai miracolosi risultati ma dalle implicazioni decisamente poco etiche. Pare infatti che la cura, per poter dare i frutti sperati, debba basarsi sulla semplice quanto spietata equazione di pelle per pelle, costringendo la giovane a macchiarsi di atti tutt’altro che onorevoli pur di mantenere fresco e giovane il bel visino. Il fortuito incontro con la fragile Sophia (Lucie Aron) porterà poi la vicenda verso lidi alquanto erotici e morbosi, come se il tutto non lo fosse di per sé già abbastanza. Ma quando le spietate motivazioni di base della nostra protagonista, nella sua perenne ricerca di mantenimento della minacciata bellezza, sembrano ormai essere ben chiare e assimilate, ecco sopraggiungere un colo di scena che non mancherà certo di lasciare ad occhi e bocca ben aperti i nostri cari spettatori. Abbandonandosi ad una fotografia appannate e lattiginosa, ben imbottita di filtri flou e inquadrature al limite dello sperimentale, Replace si distingue chiaramente in quanto prodotto di stampo autoriale che usa il genere come puro pretesto per raccontare quella che, a conti fatti, altro non è che una favola nera di sentimenti e ossessioni dall’appeal decisamente intrigante, dove tutto, dall’ipnotico score alle suggestive atmosfere hi-tech, contribuiscono a rende l’esperienza di visione un autentico sogno ad occhi aperti.
7. Code 8 (Jeff Chan, 2019)
Qualche paragrafo sopra ci si domandava, così, tanto per parlare, se fosse possibile chiacchierare di superpoteri senza dover per forza tirare in ballo gli ormai blasonati cine-universi fumettosi di marveliana memoria. E, almeno stando all’ottima esperienza di Freaks, pare proprio che la risposta possa dirsi affermativa. Perciò non possiamo che dirci ancor più sorpresi nel prendere atto che, a nemmeno un annetto di distanza dall’uscita quasi invisibile dell’atipico superheroe movie firmato da Stein e Lipovsky, un altrettanto temerario e quasi altrettanto talentuoso cineasta come Jeff Chan – si, esatto, proprio quello di Grace – Posseduta – ha tentano anch’esso di rielaborare il tema dei superumani dagli extra poteri con Code 8. Quella che può tranquillamente essere definita come una versione apocrifa e totalmente sbrandizzata dei più noti X-Men. Davvero, direte voi? Ebbene sì, amici cari, poiché in questo filmetto senza infamia né lode ci troviamo in un’America alternativa dove, a partire dall’immediato dopoguerra, gli esseri umani “tradizionali” hanno a lungo convissuto con individui dotati di variegate e strabilianti potenzialità come i la super forza e l’elettrocinesi, questi ultimi però trattati come esseri pericolosi e inferiori, costretti a prendere parte ai lavori più umili e faticosi pur di continuare a campare. Quando però l’aria inizia a farsi pesante per questi sedicenti “diversi”, a causa di una nuova legge che vorrebbe confinarli tutti lontano dagli esseri umani doc, ecco che il giovane e irrequieto Connor (Robbie Amell) si trova costretto a farla sporca e a mettere a disposizione le proprie straordinarie capacità di controllo elettromagnetico ad un gruppo di criminali senza scrupoli, il tutto per ottenere il denaro necessario a garantire le cure alla madre morente (Kari Mathcett). Inutile dire che tutto andrà ben presto a scatafascio, mettendo il giovane e la sua famiglia in serio pericolo, fino a quanto la speranza sembra improvvisamente tornare viva e vegeta nella figura dell’indifesa Maddy (Laysla De Oliveira), uno dei pochi “diversi” dotati del rarissimo e supremo potere della guarigione. Ma a che prezzo? Non serve ovviamente star qui a rimarcare gli innumerevoli debiti che Code 8 possiede nei confronti di Wolverine e della nota masnada in tutina gialla creata da Stan Lee e Jack Kirby. Ciò che qui interessa è che il film funziona, intrattiene, diverte.Un buon film, insomma, purtroppo anch’esso, come il suo omologo di cui sopra, pietosamente snobbato un po’ da tutti e caduto rapidamente nei fumi dell’oblio.