So cosa hai fatto
2021
So cosa hai fatto è una serie tv del 2021, ideata da Sara Goodman.
La piattaforma di Amazon Prime Video cade nella trappola del remake seriale e coglie l’occasione di rifare lo slasher teen So cosa hai fatto, uscito in sala nel 1997 e diretto da Kim Gillespie. Ai tempi il film aveva mietuto un certo successo, con tanto di sequel, ma dovuto in gran parte all’entusiasmo che Scream aveva appena risvegliato nei confronti del genere più che per meriti propri. Il film di Gillespie, tratto dall’omonimo romanzo di Lois Duncan del 1973, aveva comunque il merito non solo della brevità, dono che all’interno della produzione seriale per le piattaforme è scomodo e dimenticato, ma anche di aver consolidato una formula che dal prototipo del film di Craven aveva condotto il genere a diventare un must del decennio. La sua struttura basilare, riassumibile in un killer che prendeva di mira un gruppo di ragazzi che l’estate precedente avevano investito, ucciso e occultato il cadavere di una persona in un incidente d’auto, mescolava il thriller al soprannaturale legando le varie scene di tensione con le classiche dinamiche teen. Direttamente dal romanzo di Duncan, che aveva odiato la trasposizione cinematografica e chissà cosa avrebbe detto della serie, sembra prendere ispirazione la showrunner Sarah Goodman, che rispetto al film decide di rendere la storia più complessa, pur mantenendo lo spirito essenziale dello slasher, in cui gli strattoni dati dalle scene di sesso e violenza non possono mancare, sottolineando in maniera persino didascalica l’aggiornamento all’era contemporanea in cui i social media sono per forza di cose una parte determinante della vita degli adolescenti.
Se nel film di Gillespie il killer mandava le lettere, adesso spedisce messaggi e video direttamente nei programmi di messaggistica e il clima di paranoia in cui i personaggi vivono nella vicenda si accentua grazie alle nuove tecnologie che permettono un nuovo livello di controllo da parte degli stalker. Aggiornamenti a parte, So cosa hai fatto percorre grossomodo la stessa strada del film del 1997. In una notte d’estate un gruppo di adolescenti festeggia l’addio alla scuola tra alti e bassi, tra tradimenti, droghe ed eccessi. Lennon (Madison Iseman), classica bella ragazza amata da tutti e in procinto di partire per il college, porta via alcuni suoi amici dalla festa per evitare la perquisizione della polizia ma per strada investe la propria sorella gemella, Alison (sempre la Iseman). Le due ragazze sono agli antipodi: una si scopa chiunque le capiti a tiro, ha un sacco di amiche e si droga regolarmente, mentre l’altra odia stare al centro dell’attenzione e si mantiene vergine per Dylan, che proprio quella sera era andato a letto con Lennon. Per timore di rovinarsi il proprio futuro, il gruppo decide di portare il cadavere della ragazza in una grotta dove una setta compieva dei sacrifici umani, così da poter far pensare a un suo ritorno. Un anno dopo Lennon ritorna nel suo paese di origine e qualcuno che sa cosa è successo l’estate precedente la perseguita, senza risparmiarsi a uccidere chiunque fosse coinvolto in quella storia. La sua azione omicida svela però un bel po’ di scheletri tenuti nascosti nell’armadio, tra matrimoni nascosti, furti di identità e responsabilità mai confessate.
La serie, che segue un andamento tra lo slasher e il classico whodunit, ha un grosso problema di prevedibilità, che non ha a che fare con i chiari parallelismi con il film, ma con il bisogno evidente di creare a tutti i costi un prodotto che possa rispondere al meglio alle esigenze e alle parole chiavi dell’algoritmo: suspence, dramma, tematiche LGBT e temi giovanili d’attualità, ingredienti che in serie analoghe su Netflix si sono rivelati altamente vincenti. Il rischio è che So cosa hai fatto appaia come una serie omologata, che non lasci mai veramente il segno. A poco vale una generosa offerta di violenza, con alcuni omicidi onestamente degni dei migliori slasher, e alcune nudità sorprendenti, che per un prodotto pensato per una piattaforma in cui non esiste la censura televisiva è un obolo ben accetto ma insufficiente. Tra l’altro c’è un buon numero di scene di sesso, ma colpisce come nell’immaginario contemporaneo i genitori vengano rappresentati come più trasgressivi dei propri figli. A mitigare la delusione per il finale, con svelamento “inaspettato” dell’assassino (in realtà l’unico personaggio su cui non era stato costruito un banale red harring) e per l’occasione persa (ma si partiva da un prodotto tutto sommato più che mediocre) c’è l’illusione che molti degli spunti spesso accennati ma mai messi davvero in scena, come quelli della setta, possano far andare la storia nella seconda stagione verso derive più inaspettate e coinvolgenti.