Paura
L'horror-erotico perduto di Luigi Russo

Manca una data precisa di inizio lavorazione per Paura. Nell’organigramma della produttrice Agata Films, veniva dopo La morte scende leggera (luglio 1971) e dopo Byleth (settembre 1971), quindi all’inizio del 1972, tra gennaio e febbraio verosimilmente. Quel che è certo, è che nell’aprile del 1972, un giornale di settore, Cinesex, gli dedicava un servizio da cui si evince che il film fosse stato ultimato, quantomeno come riprese. Si trattava della prima regia di Luigi Russo, che nell’ambito della Agata Film si muoveva da un po’, come sceneggiatore e aiuto di Leopoldo Savona. Paura non venne mai finalizzato, nel senso che non si passò mai alla fase di montaggio, benché un buon 70% di quello che stava nel copione (depositato il 22 gennaio del ’72) sia presente nel girato, che oggi possediamo in forma grezza e da cui è possibile, quindi, farsi un’idea abbastanza precisa di quel che il film fosse o sarebbe stato. Il titolo, Paura (tale sul ciak, dove appare il nome del regista e del dop Giovanni Raffaldi), dà il polso del tenore di base: quello di un horror, che, come da regola del periodo, traligna massicciamente nell’erotismo. E Russo, che lo scrisse, nel regno del sexy si muoveva e si sarebbe poi di preferenza mosso, sia come sceneggiatore sia come regista. Nell’incipit, Orsola (Melu Valente) fugge per la campagna inseguita da tre uomini che, prima a viso scoperto poi con in testa calze di nylon, la raggiungono e la stuprano all’interno di uno spazio chiuso, un teatro di posa abbandonato. Dopodiché, Orsola è ritrovata a letto, accudita da una sorta di mammana o fattucchiera (Maria Tedeschi), che le dà da bere un intruglio verdastro, le impone le mani e armeggia con ragni e un serpentello (visibilmente di gomma): dovrebbe farle abortire il seme dello stupro, evidentemente. Questo è l’antefatto, nel passato.
Ai giorni nostri, un gruppo di teatranti giunge allo studio dismesso per le prove di uno spettacolo, genere rappresentazione d’avanguardia di un classico, che la sceneggiatura ci dice essere il Giulio Cesare – i girati su cui ragioniamo sono insonorizzati. Ci sono Rosario Borelli e Kay Fisher, che fanno coppia e lui è il regista, par di capire, dell’allestimento. Altre tre ragazze, Patrizia Gori, Rosalba Grottesi e Graziella Bauducco, e tre uomini: Vittorio Mezzogiorno, Alessandro Perrella (da allora sempre fisso nell’entourage di Russo) e Giuliano Petrelli (il futuro regista di L’occhio dietro la parete). Si entra quasi immediatamente in medias res, quando Petrelli, allontanatosi dalla scena per andare in bagno, urta un cavo e lo studio piomba nel buio. Gli altri si dividono per andare a vedere che è successo, attraverso i meandri polverosi del posto. Il vecchio guardiano che li aveva accolti, intanto, viene massacrato all’esterno a colpi di bastone. Due più due fa sempre quattro e quindi è semplice arguire che l’assassino è il figlio di Orsola, la quale si sgravò di una specie di mostro e lo relegò nel teatro abbandonato, dove tuttora vive, rinchiuso in una cella. E a questa prigione, vuota, arrivano, errando, Borelli e la Fisher, che colti da un attacco di erotismo cominciano a fare l’amore, ignari, sul giaciglio dell’essere. Russo gira molto in questi frangenti erotici, variando le inquadrature e si vede che gli interessa assai più questo della parte slasher, che ha inizio con lo sgozzamento, tramite un falcetto, del primo attore che si era perso.
Scatta, quindi, un bel lesbo tra la Bauducco e la Gori, che si appartano in un altro angolo del teatro e amoreggiano completamente nude. In breve: i vari errabondi si ritrovano insieme, realizzando che le porte del teatro sono state sbarrate dall’esterno e che in quel serraglio qualcuno ha aperto la caccia con loro, a fare da prede. Decidono di andare di nuovo a cercare il primo scomparso, il che da agio a Russo di sviluppare alcune belle situazioni. Di una è protagonista Rosalba Grottesi, giunta in una stanza dove trova una gabbia con dei canarini. La ragazza va a prendere del becchime in un secchio, ma quando torna, dopo poco, gli uccelli sono scomparsi. Qualcuno, cioè il mostro, le appare dinnanzi. Va precisato che rispetto al copione, nel film viene spostato sulla Grottesi quello che capitava al personaggio della Fisher, che dopo avere perso i sensi, orripilata, si risvegliava in un locale, che è poi il covo della creatura. Una scena molto hot ha come protagonisti Borelli e la rossa attrice praghese, che fanno di nuovo sesso su un tavolaccio, in scene molto spinte dove delle due l’una: o la Fisher tiene la faccia voltata in maniera da non essere ripresa o, altrettanto probabilmente, è controfigurata. L’impressione, comunque, è che si sia davvero a un pelo dall’hard. In un altro frangente, sempre Kai Fisher si imbatte in un orsacchiotto-giocattolo che cammina suonando dei piatti, dopo essere sbucato da dietro un angolo. La Gori e Mezzogiorno, intanto, rimasti soli, cominciano a scherzare e a flirtare un po’, ma l’idillio viene interrotto da un gocciolio di sangue che stilla in viso alla ragazza: proviene dal cadavere sgozzato del primo ucciso, che giace nella parte alta del teatro, adagiato su dei cavi, lungo i quali è colato il suo sangue.
Dopo poco, un altro colpo di scena grand guignol, quando una lampada metallica, precipitando e oscillando, non si capisce bene per quale ragione, o casualmente o manovrata dall’essere, schizza come una ghigliottina e stacca di netto la testa di Vittorio Mezzogiorno. Il dettaglio splatter dell’effetto non fu girato o perlomeno non è presente nei materiali sopravvissuti. Così come manca tutta la parte finale, lo showdown in cui Orsola (ora Laura Valerio Tomiselli, vista in Adulterio all’italiana), portandosi presso il teatro e scoprendo il cadavere del guardiano, apriva le porte, liberando la Gori, la Bauducco e Kai Fisher, che si erano ritrovate all’ingresso, scaldandosi davanti a un fuoco in attesa degli eventi. Perrella è verosimilmente morto cadendo da una passatoia (la girarono ma non è chiara l’eziologia: mette un piede in fallo, viene spinto dal mostro?), mentre Borelli è rimasto intrappolato in una stanza. Orsola arriva nell’andito in cui suo figlio tiene rinchiusa Rosalba Grottesi e va incontro a una morte atroce, fatta fuori a colpi di mazza chiodata. Anche questo manca dal girato. Assente pure il successivo inseguimento di Borelli da parte della creatura e una loro lotta, nel corso della quale, mentre il mostro sta per calare il colpo di roncola definitivo, il proiettile di un carabiniere (apparso ex abrupto) lo centra e lo abbatte, mettendo fine all’incubo. Anche questo non è dans la boite.
Fare castelli su un film allo stato crudo, è impresa azzardatissima, nondimeno, a furia di guardare questo materiale, un’idea ce la si riesce a formare. Ed è piuttosto, anzi molto positiva. Al di là di banali considerazioni sulla claustrofobia dell’insieme, Paura sta perfettamente dentro l’involucro torbido e morboso, ma diremmo anche prezioso e curato, che Russo gli costruisce attorno. L’occhio di bue va posto sulle scene di sesso che, come già rilevato, sono molto spinte ma anche intense, al netto del fatto che nel girato fossero comprese delle parti che si sarebbero viste sicuramente solo all’estero. Ma lo spettro, cioè l’aura globale del film, ha un quid che colpisce e a voler fare paragoni con le stesse produzioni Agata che andavano in quel senso, i citati La morte scende leggera e Byleth, tra quelle e questo c’è di mezzo l’Oceano. Anche la presenza del mostro, che viene svelato una sola volta – un viso biancastro, come se fosse coperto da una colata di cera, e con un solo occhio dardeggiante (nello script è posta molta enfasi su questo aspetto da ciclope e sui sentimenti che attraversano il monocolo nei momenti chiave, quando spia gli intrusi, quando incombe su di loro e soprattutto nel finalissimo, mentre muore) – è ben resa, ubiqua, con soggettive che gli vanno perfettamente in appoggio. Gli interpreti funzionano tutti e se il film fosse mai uscito, sarebbe stato il primo lungo di Vittorio Mezzogiorno, cosa che ex post avrebbe potuto aggiungergli pregio. La Gori aveva alle spalle solo un Marco Vicario, la Grottesi diversi film e l’iconicità della diva dei fotoromanzi (peccato che la sua parte più pregnante, qui, come preferita del mostro, sia assente), laddove della Bauducco non si riesce a sapere niente di ciò che fece, se qualcosa fece, prima e dopo questo film. Che dietro si allunghi l’ombra del Fantasma dell’Opera è macroscopico, ma, posta la cultura di Russo che non era persona di accatto, non si può nemmeno escludere che pensasse all’Angelo sterminatore, anche. E il frutto aberrante di uno stupro di gruppo, prevede esattamente quello che si sarebbe mitologizzato della nascita di Freddy Krueger, sortito dal convergere di vario sperma malvagio in un solo utero, tra parentesi. Così come l’orsacchiotto marciante non può non far pensare, per i casi assurdi e del tutto slegati del cinema, all’automa di Profondo rosso.