Casa privata e SS Lager 5: paghi uno e prendi due
Il secondo eroSSvastika di Mattei e il film di Garrone riecheggiano importanti precedenti
Il secondo eroSSvastika di Mattei, Casa privata per le SS è un’imitazione di Salon Kitty, senza troppe atrocità e virato sul sexy. Mentre Sergio Garrone con SS Lager 5 – L’inferno delle donne crea il gemello omozigote di Lager SSadis Kastrat Kommandatur.
Per qualche insondabile ragione, sia Bruno Mattei sia Sergio Garrone girano due erossvastika in uno. Seppure agendo in maniera diversa, perché Mattei lavora con due produzioni distinte, mentre Garrone si muove sempre sotto l’ala produttiva dello stesso Alabiso, il risultato finale è che entrambi si trovano ad avere per le mani due nazi-porno con minimo dispendio di mezzi e di forze. Mattei K.Z.9 Lager di sterminio e Casa privata per le SS; e Garrone Lager SSadis Kastratt Kommandatur e SS Lager 5 – L’inferno delle donne. In quest’ultimo caso la gemellarità è smaccata: sono fatti negli stessi scenari e con gli stessi identici attori o quasi. Mentre Mattei conserva una parte del cast ma gira in ambienti diversi, quindi l’omologia è meno netta. Ma c’è da operare un altro distinguo: Mattei fa proprio un film tematicamente diverso, abbandonando la branca medico-sperimentale del filone e spostandosi decisamente sul versante puttano-spionistico che fu l’altro grande crinale lungo cui rotolò la valanga dei nazi. In Casa privata per le SS si racconta di Hans Scherlimberg (Gabriele Carrara), incaricato di allestire un bordello per soldati del Terzo Reich allo scopo di carpire nelle alcove idee sovversive e smascherare i nemici della patria. Le ragazze prescelte, capeggiate da Eva (Macha Magall), della quale Hans è follemente innamorato, e da Ingrid (Marina Daunia), un’ufficiale nazista sfigurata, sono costrette a un durissimo training prima di prestare servizio nella casa privata Blumenstrauss, dove alti rappresentanti dell’esercito tedesco svelano, nell’intimità, idee contro il regime, firmando così la propria condanna a morte. Ma anche Scherlimberg, nel corso di un’orgia, ebbro del potere di cui è stato investito, si abbandona ad alcuni sproloqui sul Furher, venendo denunciato da Ingrid, gelosa, e andando incontro a una condanna a morte. Più o meno con lo stesso iter di K.Z.9 Lager di sterminio, anche Casa privata per le SS, al primo colpo, il 18 dicembre 1976, non ottiene il nulla osta di proiezione “per le scene di esasperato erotismo e di perversione sessuale”, tali da non consentire l’effettuazione di tagli. Si ripresenta in censura e, l’11 gennaio 1977, mercé interventi sulla sequenza di un’orgia, su situazioni di lesbismo e su un passaggio in cui il protagonista paragona il proprio membro a Hitler, il film passa con il divieto ai 18 anni.
Prosciugato totalmente del sangue e delle efferatezze grandguignol, Casa privata per le SS compensa l’estremismo gore con eccessi di erotismo da Suburra, copia smaccata quale vorrebbe essere, e quale di fatto è, del Salon Kitty di Tinto Brass. Da qui vengono rubate l’idea del casino con funzione di centrale occulta del controspionaggio e le scopate per addestramento delle neo-puttane con sgorbi, freaks, lesbiche, e persino con un cane pastore tedesco, che anche se non fa niente, funziona come idea zoofila inquietante. Il film, ciononostante, è noioso, bruttarello, non decolla mai, se non sulle ali di certe scene – tipo il training armato delle prostitute in pectore – dove la bella colonna sonora di Gianni Marchetti fa quasi tutto da sola (ed è musica di recupero, nemmeno originale). E dire che alcune parti, secondo il produttore Franco Gaudenzi, sarebbero state girate addirittura da Joe D’Amato, nel quadro dei mutui favori con Mattei che più o meno in quei mesi aiutava l’amico sul set di Emanuelle & Francoise le sorelline. Avevano anche attrici che fluidificavano dall’uno all’altro: per esempio, una delle prostitute di Casa privata è la stessa attrice – Christiane Minutelli – che in Emanuelle in America di Joe D’Amato faceva un’azione hard con un bianco e con un nero. Qualche alzata di genio, a Mattei, però, va riconosciuta: si inventa un nazista sadico che nutre i suoi lucci (sì, i pesci) con carne di donna ed è ossessionato dallo spettro di una ragazzina che ha violentato, contro la quale tira revolverate colpendo le piante e l’aria. Perché Mattei era e restava, di base, un ingegno interessato al fantastico, all’horror, non al sesso. Lo zenith resta, però, una scena in cui Carrara (cane mostruoso, reso qui tollerabile solo dal doppiaggio di Sergio Graziani) si scopa insieme Mascha Magall e Marina Daunia, di notte, in un lettone, durante un temporale, e all’acme dell’esaltazione avvicina la faccia delle due donne al proprio membro, gridando: «E adesso baciatemi il Fuhrer!». Comunque, non andò affatto male, come incassi, portando a casa poco più di 250 milioni e resistendo quindi sulla media del genere.
Il gemello invece di Kastratt Komandatur è SS Lager 5 – L’inferno delle donne. Gemello omozigote, tant’è che a vederli a un certa distanza persistono nella memoria come la stessa cosa. C’è da domandarsi se qualche spettatore allora afferrasse il trucco. I critici non hanno mai notato niente così come non avevano notato le altre prestidigitazioni simili di Garrone, che spendendo per un solo film girato in Turchia con Klaus Kinski ne aveva fatti poi saltare fuori due: La mano che nutre la morte e Le amanti del mostro. L’importante era trovare almeno un elemento che desse nell’occhio e che concentrasse l’attenzione su di sé: in Lager SSadis Kastrat Komandatur era il trapianto dei coglioni; in SS Lager 5 – L’inferno delle donne è la figura di una prigioniera di colore, interpretata dall’eritrea Rita Manna, col nome di Alina, che manda fuori di testa soldati e ufficiali tedeschi nel bordello del campo di concentramento al quale è stata destinata. La sensualità della donna – che in una scena obiettivamente conturbante danza usando una banana come perizoma – ribalta la sua condizione di vittima in quella di carnefice dei nazisti che le capitano sotto (cioè sopra). Alla resa dei conti, mentre la notizia dell’avvicinamento delle forze russe getta nel panico i nazisti che organizzano una generale carneficina perché Sansone muoia con tutti i filistei, Alina fredda il colonnello suo amante e con altre compagne e un medico buono del campo, riesce a salvarsi. Il film parte serio, con immagini di repertorio che documentano le atrocità naziste nei lager, ma basta qualche decina di metri di pellicola per piombare nella sexploitation più dura e pura. Le prigioniere sbarcate al campo finiscono subito in doccia, con dei full frontal insistiti che ci distraggono dai visi delle divette che avremmo poi imparato ad avere care, da Leda Simonetti a Paola D’Egidio, alla stangona greca Agnes Kalpagos che non risulta accreditata per le solite cabale delle attrici di nazionalità non italiana. Leda è abbastanza scatenata e si distingue, nel sexy, per un terzetto nel bordello del campo con un’altra ragazza e un ufficiale, e nel gore per la sua pessima fine sotto le grinfie di Serafino Profumo, che le strappa la lingua perché lei non vuole fare la delatrice. La monomania cruenta dei nazi-medici è, questa volta, un esperimento fatto sulle gambe delle prigioniere, cosparse con una specie di unguento infiammabile e quindi incendiate – a mente sana, naturalmente. Gode del primato, SS Lager 5 – L’inferno delle donne, di essere tra i pochi nazi, se non l’unico, a non esistere in una versione italiana home video completa, anche se in censura non lo bloccarono ed ebbe subito il nullaosta per la proiezione con divieto ai minori di 18 anni. Non se ne conosce l’introito.