Dentro l’Hacker Porn. Un viaggio strano
Reportage del Festival 2024, dal porno horror a Bruce LaBruce
E ora qualcosa di completamente diverso. Il celebre motto dei Monty Python si addice perfettamente all’Hacker Porn Film Festival, il festival del cinema kinky, weird, post-porno e queer che si è svolto a Roma dal 26 al 30 aprile 2024 nella cornice del Trenta Formiche. Il festival, diretto da Lucio Massa, uno dei maggiori esperti del genere e nostro collaboratore, è giunto all’ottava edizione: è ormai un punto di riferimento per un intero universo, del resto basta entrare a una proiezione nella sala bunker del Trenta Formiche per rendersi conto dell’affluenza, la partecipazione e la consapevolezza del pubblico. Non a caso il programma è in crescita continua: nell’edizione 2024 sono stati presentati oltre 90 film, documentari e cortometraggi, suddivisi in 38 proiezioni con incontri, ospiti, talk e dj-set. In cartellone c’è veramente di tutto: per esempio la sezione No Gender No Border che raccoglie le immagini più estreme e provocatorie (aghi, cilici, speculum e così via), oppure Golden Age che omaggia la sessualità in età matura. Queste viaggiano insieme a proposte più classiche come Gay Nostalgia, uno sguardo all’indietro sulla più tradizionale cultura omosessuale. Il festival è talmente ricco e pieno che non possiamo che fare dei prelievi, limitandoci ai colpi di fulmine, alle immagini che ci hanno disturbato, che meglio si allineano alla nostra forma mentale.
La sezione più nocturniana è sicuramente Horror Porn, che come da titolo ha deciso di mescolare i due generi, l’orrore e la pornografia, offrendo un’ibridazione di registri per garantire continui spiazzamenti. Qui sono andate in onda quattro opere dominate dal pezzo forte, The Deep Queer Massacre di Mathieu Morel: un film di 29 minuti che inscena un cripto-remake di Non aprite quella porta in chiave omosessuale, con alcuni ragazzi arrapati che vanno in gita in un maniero in Normandia, iniziano un gioioso weekend di sesso e finiscono massacrati da uno psicopatico mascherato. Il tutto viene aperto dalla colonna sonora de La dama rossa uccide sette volte a opera di Bruno Nicolai, curiosamente appena risentita nel recente Immaculate, giusto per dichiarare l’amore per il bis italiano e l’appartenenza a un certo tipo di cinema, residuale e underground. In mezzo c’è una mattanza molto divertente che gioca sugli stereotipi del film gay e sembra un teen movie anni Ottanta di Linklater girato a pene eretto. Poi gli altri corti più brevi. In Ghost Song di RTalin e Jorge The Obscene una serata in un club LGBTQ+ di Berlino si trasforma in un’orgia vampirica filmata come un videoclip, rendendo letterale l’atavico legame tra il morso del vampiro e l’atto sessuale; Farn Porn di D00m$Fae e Master Satanas è una ricognizione in una fattoria infestata, dove alcune ragazze e donne nere mettono in scena atti di dominazione, bondage, sottomissione. E quindi libertà.
Il corto più potente è Romance Post-Mortem di Tinam Bordage (foto di copertina): una ragazza si sveglia nuda in una grotta, forse sequestrata da un pazzo, e trova vicino a lei un’altra giovane priva di sensi. Le pratica la respirazione bocca a bocca, tentando di rianimarla, e proprio in quel momento realizza che c’è qualcosa che le piace… Parte così un rapporto necrofilo mirabilmente girato, fatto di esplorazioni interiori e penetrazioni con le ossa, tanto dettagliato e realistico da spiazzare il pubblico in sala. È la dimostrazione della distanza incolmabile che divide il post-porno underground dal cinema meramente commerciale: qui c’è un’ottima idea (la respirazione che svela una passione necrofila), una trovata angolare da cui tutto parte e si scatena, che sarebbe impossibile proporre in altri ambienti, non solo perché “oscena” ma perché i registi del mainstream sono incapaci di pensarla.
Il punto di riferimento del moderno porno gay è ovviamente Bruce LaBruce, visto all’ultima Berlinale con il sovversivo The Visitor, la sua versione di Teorema. Per il festival Bruce è un ritornante, nel senso che torna sempre, i suoi semi sono sparsi in ogni edizione: dopo la proiezione l’anno scorso dello storico No Skin Of My Ass, il suo cinema fondamentale torna con The Raspberry Reich (2004), visto per la prima volta in versione incensurata, uno dei capolavori del regista. Nell’arco di novanta minuti si disegna la parabola di un gruppo terroristico di estrema sinistra che si ispira alla RAF e mitizza la figura di Ulrike Meinhof, composto da alcuni ragazzi gay e una leader donna: il loro obiettivo è innescare una rivoluzione omosessuale in Germania e instaurare “l’impero del lampone”, per questo rapiscono il figlio di un ricco industriale. Con il consueto sguardo senza steccati né pregiudizi, LaBruce allestisce un racconto eversivo che mette in parodia perfino i film politici di Jean-Luc Godard, con i giovani che si toccano e scopano davanti al poster di Che Guevara; bisogna però lasciare le stanze e andare nelle strade per compiere la vera rivoluzione, uscire dal recinto etero e fare sesso il più possibile (“Masturbarsi è contro-rivoluzionario!”), soprattutto tra uomini. Il regista getta di tutto nel suo cocktail indiavolato, dal porno al comico, dal thriller alla farsa, ponendo il sesso rigorosamente in campo e permettendosi una critica ironica alla stessa liberazione sessuale, tanto che la vicenda non finirà bene… E si capisce perché lo stesso LaBruce l’abbia definita “una storia di terrorismo chic”.
Qui si arriva a uno dei punti dell’Hacker 2024, al colpo grosso dell’edizione: l’intervento in presenza di Jürgen Brüning, leggendario produttore del porno gay indipendente, fondatore del Pornfilmfestival di Berlino e proprietario della Cazzo Film, la label che emana i principali prodotti del settore. Produttore dello stesso LaBruce, Brüning, che oggi ha 66 anni, è stato accolto come un’istituzione e un vero e proprio mito bipede. Il suo incontro col pubblico si è rivelato una lezione di post-porno e porno etico, che ha decretato la profondità e lo spessore della pornografia indipendente senza possibilità di appello. “All’inizio ho lavorato in televisione ma era impossibile, dovevi fare troppi compromessi e io volevo girare porno con una chiara identità gay. A un certo punto Bruce, con i film che ho prodotto, ha avuto successo in alcuni festival ma resta ancora un grave pregiudizio dei festival internazionali nei confronti del porno: si chiedono cos’è questa roba, arrivano i critici e dicono che è solo pornografia…”.
E sul trattamento degli attori: “Ho fatto film con budget piccoli o piccolissimi, ma ho sempre pagato i performers davanti alla camera, seppure non molto. Magari i miei amici dietro mi davano una mano gratis, ma quelli davanti all’obiettivo li abbiamo sempre retribuiti”. Cos’è davvero il porno secondo Jürgen Brüning? “Tante cose. È porno la bellissima scena delle mestruazioni in Carrie di Brian De Palma. È porno anche la sequenza che ho girato io quando ho ripreso la mia operazione a cuore aperto, con il consenso dei medici, e in particolare ho filmato la rasatura del pelo pubblico”. Brüning si riferisce al suo film da regista, proiettato dopo l’incontro: Klappe del 2022, un montaggio di alcuni titoli da lui girati o prodotti insieme a pochi innesti nuovi, come appunto la degenza ospedaliera. È un mash-up di 64 minuti che prende la forma di uno zibaldone porno gay politico, saltando di palo in frasca, rilasciando schegge che sbriciolano ogni possibile tabù: si va dall’omofobia conclamata di Che Guevara fino alla ragazza che raggiunge l’orgasmo giocando a tennis, alla faccia di Challengers di Guadagnino. Una goduria.
Molte altre sarebbero le segnalazioni da fare, come lo spazio importante dedicato a Jan Soldat, regista tedesco classe 1984, una delle maggiori novità nel genere degli ultimi anni: fu conosciuto con The Incomplete nel 2013, premiato addirittura al Festival di Roma, documentario su uno slave di sessant’anni che vive la sua vita nudo in casa, col sogno di essere il servo perfetto. Soldat torna all’Hacker con una batteria di corti di 51 minuti che rappresentano bene il suo cinema: incontri al buio, stanze dei giochi, sesso tra anziani… Insomma, il festival si conferma a distanza siderale dai festival italiani commerciali, segnati dalle solite logiche tristi e noiose. Facendosi un giro qui dentro il cambio di prospettiva è radicale, con possibili effetti collaterali, come ha detto Lucio Massa: “Potreste scoprire che vi piace qualcosa a cui finora non avevate mai pensato”.