Estate Nocturna. I consigli della redazione
I collaboratori della rivista scelgono i film per augurarvi buone vacanze
Ovvio: l’estate è il periodo delle vacanze. Ma nel nostro tempo, col caldo satanico, è anche una zona dell’anno pericolosamente a rischio di follia, impazzimento, gesti estremi. Allora abbiamo deciso di tirare l’elastico del “giallo dell’estate” – un classico – e renderlo horror dell’estate, dispensando i consigli dei nostri redattori e collaboratori per tre mesi di caldo e di sangue. Va detto: non sono per forza film che riguardano l’estate, sono grandi classici o piccole chicche, visioni già frequentate o roba che non avete mai visto, quindi da scoprire. Ma sono bei film. Tra l’ombrellone e la granita, c’è sempre spazio per un brivido caldo. Buona Estate Nocturna.
Ghostwatch di Lesley Manning
In un’estate torrida non possono nuocere i brividi dalla perfida Albione provocati da un piccolo mockumentary trasmesso durante la notte di Halloween del 1992, in cui una troupe televisiva fa visita a una casa teatro di frequenti poltergeist, palesemente ispirato ai fatti di Enfield. Girato come se fosse un programma trasmesso in diretta, provocò migliaia di proteste telefoniche da parte del pubblico e per questo il canale pubblico britannico evitò di replicare il folle esperimento. Dopo anni di invisibilità, Ghostwatch è nuovamente accessibile a tutti per ingannare il pubblico con la sua aurea di verità, anni prima di Paranormal Activity e Late night with the Devil. Ancora più efficace dell’espediente del falso documentario è però il clima di tensione che il veterano sceneggiatore Stephen Volk e il regista Lesley Manning riescono a costruire intorno a Pipes, la misteriosa figura fantasmatica che sembra infestare la casa (Marcello Aguidara).
Quando chiama uno sconosciuto di Fred Walton
“Hai controllato i bambini?”. Difficile non sentirsi prendere da un tremito ogni volta che si ricorda il terribile inizio di questo piccolo grande film. Quarantacinque anni dall’uscita di un’opera che ha aperto un mondo al genere thriller e contribuito, insieme a Black Christmas e Halloween, a ridare vigore e ispirazione allo slasher. Il telefono non farà mai più così paura nel cinema americano, neanche in Scream che ne rappresenta l’epigono più famoso. Nato dal suo cortometraggio The Sitter (anch’esso da recuperare), Fred Walton realizza un eccellente esempio di ponte tra due epoche, dove il cinema hitchcockiano e il giallo baviano e argentiano – altri che col telefono avevano fatto cose eccelse – vengono così collegati al futuro del genere. Luce e oscurità sono gli ingredienti speciali del dramma diviso in atti, dove il male non ha motivazioni e ragioni. Insieme alla malcapitata Jill, veniamo trascinati in un incubo ineluttabile senza fine, come quando arriva una telefonata a cui non vogliamo rispondere (Francesco Belliti).
Ragnatela di morte di Thom Eberhardt
Puoi provare a scappare o perfino a nasconderti ma, in un modo o nell’altro, la Cupa Mietitrice riuscirà comunque a stanarti. E se anche, come la (s)fortunata Denise, riuscissi miracolosamente a svicolare dal fatidico incontro ad alta quota con l’immancabile Nera Signora, beh, preghiere e scongiuri non basterebbero certo a proteggerti dagli zombeschi ex compagni di sventurato sorvolo; ritornati per l’occasione dal fulciano Aldilà con l’unico scopo di ricondurti alla predestinata Final Destination. Ed è così che, zitti zitti, They Follow in lontananza; deambulando, lenti e inesorabili, sul nebbioso sfondo di una città che, come il più classico dei romeriani memento mori, di riposare in pace per l’eternità non ne vuol proprio sapere. E perché, dunque, prendersela comoda? Beh, perché, tra premonizioni che solo un acuto sesto senso riuscirebbe a decrittare, i nostri redivivi amichetti ben sanno che, per quanto tu possa svicolare, prima o poi finiranno comunque per riprenderti (Matteo Vergani).
Gwendoline di Just Jaeckin
Un classico per l’estate che intrattenga e non faccia urlare al cheap: un fumettone fantasioso ed elegante, tratto da un vero fumetto, e non c’è da stupirsi che la confezione sia così “deluxe”, dato che al timone c’è il Just Jaeckin di Emmanuelle. Gwendoline parte come un’opera minore ma grazie all’estro e alla geniale creatività di Jaeckin prende vita come un misto di pop avventuroso, romantico, onirico e sexy. I protagonisti sono la bella e brava Tawny Kitaen e Brent Huff, che incarna alla perfezione il ruolo dello scavezzacollo alla ricerca del colpaccio, bello e dannato. Il film attraversa varie fasi, a tratti sembra Indiana Jones, in altri Sheena Regina della giungla e in altri ancora Lulù l’angelo tra i fiori. L’opera prende corpo con vitalità e sfocia nella fase finale – la migliore – ambientata in una futurista e sotterranea città delle donne (chapeau ai disegnatori delle scenografie, Renard e Shuiten, che hanno fatto cose sublimi e modernissime), guidata da una regina pazzoide col volto di Bernadette Lafont. Bibita ghiacciata color fluo e andate tranquilli… tanta roba (Enrico Ferri).
La mia vita con Chucky di Kyra Elise Gardner
Si può consigliare un documentario? Certo che sì, se questo è Living with Chucky di Kyra Elise Gardner, passato nel 2022 in alcuni festival di genere, che praticamente non ha visto nessuno (ora disponibile sul canale Midnight e AppleTv). Figlia di Tony Gardner, responsabile degli effetti speciali e del design di Chucky a partire dal 2004, la regista è cresciuta coi film della bambola e ora restituisce il favore: nell’arco di cento minuti va a interpellare tutte le pedine principali che diedero vita alla saga, partendo da Don Mancini, passando per Brad Dourif e arrivando perfino a John Waters che fu vittima ne Il figlio di Chucky (“Ero entusiasta che mi deturpasse con l’acido!”). È la storia di un’ossessione, quella dell’autrice per la killer doll, ma anche di un’impresa: restituisce l’innovazione che La bambola assassina portò nel cinema di genere dal 1988 in poi. Dietro c’è il genio, la creatività, ma anche il duro lavoro e il sacrificio. L’orrore vero costa fatica. Un making of definitivo e rivelatorio (Emanuele Di Nicola).
Santa Sangre di Alejandro Jodorowsky
La Santa Vergine dalle braccia amputate e il fantasma della madre sono l’ossessiva gabbia mentale dalla quale Fenix tenta di liberarsi, incappando in efferati omicidi di ragazze. Lui è il protagonista di una revisione panica dell’horror, scritta dal regista cileno naturalizzato francese con Riccardo Leoni e Claudio Argento, quest’ultimo produttore del fratello maggiore Dario. Il film è uno psyco-horror grottesco intriso di sangue quanto di passione. Narra la vita di un giovane, traumatizzato in tenera età da una tragedia familiare di cui è spettatore: il padre, dopo aver amputato le braccia alla madre che lo aveva castrato gettandogli sul ventre dell’acido solforico, si suicida tagliandosi la gola. Il ricordo della genitrice, a cui il figlio presta mani e le braccia giorno e notte, si sovrappone all’inquietante figura della Santa. Ci sono storie che quando le racconti si consumano, altre invece ci consumano, prendono forza e ci ricordano quanto siamo fragili. Jodorowsky usa la finzione del cinema come terapia contro il male di vivere nella realtà. Troppo bello per (non) essere vero (Elisabetta Rossi).
Creepshow 2 di Michael Gornick
Cinque anni dopo la prima antologia del terrore diretta da George A. Romero con 5 storie scritte da Stephen King, Michael Gornick, che fu direttore della fotografia del primo film, si mette dietro la macchina da presa per questo nuovo capitolo, composto da tre episodi ispirati sempre ai mitici fumetti della EC Comics. Nel primo, una statua di legno prende vita per vendicare i due anziani coniugi di un vecchio emporio assassinati da tre teppisti. Nel secondo, il più affascinante di tutti, alcuni ragazzi nuotano in un lago e si rifugiano su una zattera, mentre vengono minacciati da una viscida melma assassina e famelica. Nel terzo, un autostoppista (nero) viene investito da una ricca signora (bianca), che non lo soccorre, lasciandolo morire dissanguato; l’uomo la perseguiterà per tutto il tragitto fino a casa e troverà la sua vendetta. Gornick non è Romero e si vede, ma tutti i segmenti funzionano e non mancano le riflessioni su una società corrotta, avida e meschina, già presenti nel capostipite del papà degli zombi. Un piccolo cult da riscoprire, magari assieme ai vecchi fumetti che lo ispirarono (Simone Bisantino).
Rollerball di Norman Jewison
Rollerball è un film potente nonostante tutto. Nonostante a livello visivo in certi punti sia datato, figlio di un’estetica di per sé solida ma che ha fatto il suo tempo. Nonostante non raggiunga la perfezione del racconto di William Harrison da cui è tratto, una short story a cui non serve aggiungere né togliere nulla. Perché il film di Norman Jewison è ancora profondamente attuale, anzi per certi aspetti lo è più di prima, come tutta la buona narrativa d’anticipazione, e racconta la sua storia con ferocia e lirismo di alto livello. I momenti di tensione prima delle partite, i match stessi in cui tutto esplode in un caos primitivo, ma anche le scene in cui chi appartiene alle classi sociali più alte si permette di amministrare vita, morte e distruzione a proprio piacimento fanno di Rollerball un film che parla della natura degli uomini in maniera trasversale e senza tempo (Stefano Tevini).
The Burning di Tony Maylam
L’estate è la stagione adatta per godersi un rassicurante slasher sorseggiando bibite fresche sotto il condizionatore. The Burning, distribuito in sala nel 1981, è ambientato, ça va sans dire, in un campeggio estivo dove la giovane carne dei protagonisti scopre i piaceri del petting e i dolori delle armi da taglio. A compiere il massacro è Cropsy, il goffo custode del campeggio che cerca vendetta per le angherie subite in passato. Armato di cesoie trucida e affetta un adolescente dietro l’altro, facendo volare pezzi di mani, gambe, recidendo gole e ventri tra le urla terrorizzate dei ragazzini. Un bagno di sangue sotto la luce del sole, reso ancora più realistico grazie agli effetti di Tom Savini. Ciliegina sulla torta: il soggetto è di Harvey Weinstein (Giorgia De Carolis).
Summer of 84 di François Simard, Anouk Whissell e Yoann-Karl Whissell
Nel mare magnum di titoli che, da Stranger Things in poi, hanno rispolverato l’immaginario cinematografico anni 80, consiglio di (ri)pescare questo film del 2018 diretto dai Roadkill Superstar (collettivo canadese altrimenti noto per il cult Turbo Kid), che con la serie dei fratelli Duffer condivide, oltre all’ambientazione d’epoca, una trama imperniata su un gruppo di ragazzini alle prese con un terrificante mistero destinato a sconvolgere le loro vite. Anche qui c’è un mostro da stanare, ma non ha le fattezze soprannaturali del Demogorgon, bensì quelle fin troppo umane di un serial killer che si aggira nei placidi sobborghi di una cittadina americana seminando giovani vittime. Tra “Amblin touch” e schietto cinema di genere, un midnight movie che mescola racconto di formazione e thriller ad alta tensione, nostalgia e orrore, passando dai toni ludici alle atmosfere dark di una visione via via sempre più cupa e perturbante, sino a uno spiazzante epilogo che non dispiacerà ai puristi del brivido (Luca Aloi).
Delitto in pieno sole di René Clément
Nel pieno della calura estiva non c’è niente di meglio che recuperare Delitto in pieno sole, la prima trasposizione del libro di Patricia Highsmiths che ha come protagonista il famigerato Mr. Ripley. Se nella versione più recente (e più fedele al libro) Tom Ripley è interpretato da Matt Damon, nel film diretto da René Clément, Tom ha il volto meraviglioso di Alain Delon (fun fact: c’è un cameo di Romy Schneider). Philippe (Maurice Ronet) si gode la bella vita (di felliniana memoria) con la fidanzata Marge (Marie Laforêt) fino a quando arriva Ripley (Alain Delon) che, seguendo gli ordini del padre dell’amico, deve convincerlo a tornare a casa, Tom, che li per lì è succube del fascino dell’amico e del suo stile di vita, decide di appropriarsi dell’identità di Philippe. Di umili origini come Ripley, nonostante gli stravolgimenti di Clement e l’omissione della latente omosessualità di Tom, Delon regge su di sé l’intero film, che nei momenti migliori, quelli tra lui e Maurice Ronet in barca, hanno la stessa tensione del gioiello di Roman Polanski, Il coltello nell’acqua. Perfetto per un aperitivo a Portovenere tra gli yacht (Maria Eleonora C. Mollard).
Macchie solari di Armando Crispino
Quale miglior film da vedere o rivedere in una torrida estate se non questo magnifico thriller? È uno fra i gialli più originali e schizofrenici che siano mai stati girati: in una Roma afosa e rovente, l’addetta all’obitorio Simona (Mimsy Farmer) è coinvolta in una serie di suicidi sospetti che coinvolgono il padre, un prete e un giovane fotografo. Suicidi o omicidi? Questo è il bello del film, che inizia come un paranoia-movie orrorifico e straniante, per poi proseguire come un giallo più razionale che svela una sceneggiatura da applausi. Macchie solari si svolge per lo più di giorno, in location assolate e con inquadrature sul sole e sui volti sudati. Memorabili la catena di suicidi iniziale e la scena all’obitorio in cui la soggettiva allucinata di Simona vede animarsi i cadaveri (fra cui c’è anche Michele Starck, starlette del Bis italiano). Momenti di cinema quasi sperimentale convivono con situazioni da thriller diversissime dai modelli argentiani (Davide Comotti).
The Beach di Danny Boyle
La prima apparizione di Leonardo Di Caprio in un film dopo Titanic è in The Beach, adattamento cinematografico di Danny Boyle dell’omonimo romanzo cult di Alex Garland “The Beach”. Un film sicuramente da includere in una rosa di lungometraggi da guardare in estate, quando al riparo da arsura e con i ritmi di vita rallentati, ci si può concedere più di una visione, vecchia o nuova che sia. The Beach è molto estivo perché, come suggerisce il titolo, parla di una spiaggia, che sarebbe quella di un’isola segreta della Thailandia, uno di quei paradisi terrestri ove tutti sognerebbero di andare almeno una volta nella vita. Il giovane viaggiatore con zaino e sacco a pelo americano Richard (DiCaprio), appena arrivato in Thailandia, riceve una mappa disegnata a mano di una spiaggia leggendaria e paradisiaca dallo strano e pazzo Daffy (Robert Carlyle). Insieme alla coppia francese Francoise (Virginie Ledoyen) ed Étienne (Guillaume Canet), Richard parte alla ricerca dell’isola segreta. Dopo aver superato alcuni ostacoli, il gruppo riesce a raggiungerla e scopre che è abitata da un gruppo di emarginati. Ma il presunto paradiso si rivela presto un luogo pericoloso per la vita. Un dramma d’avventura oscuro, emozionante, ben interpretato che è avvincente nonostante alcuni piccoli punti deboli. Perché le spiagge non sono sempre quelle che si pensano (Maria Capozzi).
The Well di Federico Zampaglione
L’estate è la stagione più feroce, tutto arde, brucia e la morte si consuma nella luce accecante e affilata del sole, bianca, mortifera, come le vedute hopperiane, calda e sanguinolenta come i plastici rossi di Burri. L’estate è passione, è carne, a volte è carne in putrefazione, selvaggia e anarchica, esattamente come il nuovo film di Federico Zampaglione: The Well. Il film, dopo essere stato venduto in più di cento Paesi, arriva dal primo agosto nelle sale italiane, candidandosi come il film dell’estate 2024, attesissimo dai fan dell’horror, ma non solo. La storia è quella di Lisa (Lauren Lavera) che giunge in Italia per restaurare un vecchio dipinto, rovinato da un incendio; la ragazza si ritroverà a vivere il peggiore degli incubi, sarà catapultata in un vero e proprio viaggio all’inferno. Zampaglione porta sul grande schermo un horror puro, feroce, che non cede ad alcun compromesso e mostra senza timore la sua anima nera e ferina, un lavoro che cattura lo spettatore alla gola e come un fendente dritto allo stomaco, tenendolo senza fiato, in preda alla suspense, dal primo all’ultimo secondo. The Well, con orgoglio, ha conquistato il massimo divieto ai minori di 18 anni. Violento, sanguigno e sanguinante, benvenuti al vero horror, da vedere e da amare. Consigliatissimo (Mariangela Sansone).
L’immensità della notte di Andrew Patterson
Titolo perfetto per la calura estiva perché ci cala nelle notti desertiche di Cayuga, paesino del New Mexico dove l’umidità notturna viene stemperata dal brivido per l’incontro con entità di provenienza extraterrestre. Comincia come un episodio di Twilight zone questo esordio alla regia di Andrew Patterson e cioè con una sigla televisiva di un programma fittizio, Paradox Theater, che, nei toni e nelle atmosfere, rimanda alla gloriosa serie Tv creata da Rod Serling. E infatti siamo alla fine degli anni’50: nel corso del suo turno di lavoro, la centralinista Fay riceve un’allarmata telefonata di qualcuno che ha avvistato qualcosa nel cielo, comunicazione che viene poi interrotta da un bizzarro e inspiegabile rumore. Un lunghissimo, vertiginoso piano-sequenza wellesiano diventa la cifra stilistica di questo piccolo gioiellino che viaggia veloce, con la mdp montata su un go-kart ad esplorare il paese, disegnando traiettorie erratiche e bisecandone gli angoli più bui, in una fitta rete di inquietudine che colora di mistero gli spensierati Fifties, che in questo caso sembrano scaturiti dal visionario ottavo episodio della terza stagione di Twin Peaks (Claudio Gargano).
Velluto nero di Brunello Rondi
Suggerisco, dato il caldo africano, Velluto nero di Brunello Rondi. Girato in Egitto, dal gennaio del 1976. Gran titolo, nel senso della pars pro toto: cioè grande film, il migliore mai fatto da Rondi, con buona pace dei suoi esegeti. The Group (Le radici del male) si chiamava in principio: e il “Male” sarebbe il sesso, che attanaglia, in tutte le sue deviazioni immaginabili, un meraviglioso “gruppo” di disperati: una riccona (Susan Scott), una figlia ninfomane (Zigi Zangher), un’altra figlia di primo letto (Annie Belle/Laure), un fotografo psicopatico (Gabriele Tinti), la fotomodella sua moglie (Laura Gemser/Emanuelle), un santone stile Mesmer (Al Cliver) e un teatrante pedofilo e fallito (Feodor Chaliapin). Come un sexy-pocket disegnato da Chagall, splendido materiale umano da bis (cosa non è Zigi Zangher, doppiata da Simona Izzo, in questo film!), gestito con movimenti di macchina e inquadrature spettacolari. E con il tocco finale dello Spirito, che discende copioso nella ost di Baldan Bembo. (Davide Pulici).
A cura di Emanuele Di Nicola e Giorgia De Carolis