Memorias de un cuerpo que arde. Una trilogia sulla sessualità femminile
Il film che ha vinto la sezione Panorama alla Berlinale. Intervista alla regista Antonella Sudasassi Furniss
Vincitore come miglior film della sezione Panorama alla Berlinale 74, Memorias de un cuerpo que arde è diretto da Antonella Sudasassi Furniss, regista costaricense all’opera terza (seconda di lungometraggio). Il suo lungo d’esordio, El despertar de las hormigas, venne presentato sempre a Berlino nel 2019 (“omonimo” del primo cortometraggio datato 2016): con questo terzo lavoro l’autrice conclude la sua analisi dedicata alla sessualità femminile nel suo Paese, a come la rigidità religiosa e una società maschilista determinino la vita delle donne anche nei suoi aspetti più intimi e privati. Ne abbiamo discusso direttamente con lei.
Nel corto affrontavi in forma di fiction le prime pulsioni di un’adolescente, nel primo lungo raccontavi la presa di coscienza di una donna che dopo alcune gravidanze iniziava a scoprire le gioie del sesso “fine a se stesso”. Chiudi questo percorso con un documentario sulla sessualità femminile nella terza età: come è andata la première berlinese?
È stata una serata bellissima, l’accoglienza è stata davvero speciale! Gli applausi a fine proiezione sono stati molto lunghi e ci hanno scaldato il cuore: con me sul palco c’era anche buona parte del team, sia di quello spagnolo sia di quello costaricense (eravamo un gran bel gruppo): è stato estremamente bello condividere tutti quei momenti insieme a loro.
Memorias è una sorta di audio-documentario con le immagini di un film di fiction. Era la tua idea fin dall’inizio?
No, è stato un lungo processo: come prima cosa ho iniziato a parlare con molte donne anziane del mio Paese delle cose di cui avrei sempre voluto, ma non avevo mai osato, discutere con le mie nonne. Poi ho cercato di capire come era stato per loro crescere nella nostra società riguardo a questi aspetti specifici. Da subito tutte mi dicevano: “Ok, ho capito quel che vuoi fare ma non voglio apparire in camera, non voglio essere riconosciuta”. Alcune mi hanno chiesto anche di cambiare la loro voce, per essere più sicure ancora dell’anonimato. È stato scioccante per me, sapevo che il sesso fosse un tabù ma non mi immaginavo a tal punto. Abbiamo iniziato a parlare e parlare, per due anni e mezzo, e a un certo punto mi sono detta: ho queste meravigliose testimonianze e ora cosa me ne faccio? Cosa mostrerò sullo schermo? Allora ho avuto l’idea di lavorare con alcune attrici, specialmente perché volevo che il pubblico empatizzasse al massimo con quello che stava ascoltando, volevo creare una connessione anche con ciò che avevano davanti agli occhi. È stata una sfida, lo ammetto, lavorare con differenti formati: devi continuamente chiedere a te stessa se sta funzionando o meno e fino alla fine non lo sai, finché non mescoli i vari elementi… È stato interessante procedere in questo modo.
Racconti piacere e desiderio attraverso ricordi e intimità di alcune donne over 65: Ana, Patricia e Mayela si confidano senza filtri, dopo aver superato un po’ di imbarazzo iniziale. Come le hai scelte?
Come detto, ho parlato con tante donne diverse, più di quindici, ma alla fine con tre di loro ho davvero approfondito molto questi temi e le loro esperienze. Nel film ci sono altre cinque voci, per un totale di otto, inclusa quella di una mia nonna, l’unica quindi che non resta “anonima” nel progetto: era davvero molto anziana e non è riuscita a dirmi tanto, la sua memoria aveva già qualche problema. Ma è importante per me che ci sia anche lei.
I loro ricordi “prendono vita” accanto a un’attrice, Sol Carballo. Vediamo una bambina diventare donna e scoprire le varie esperienze (pulsioni, innamoramenti, matrimonio e maternità, soprattutto) che diventano un unico grande flusso di tre anime in un (altro) corpo solo. Il montaggio è molto importante, come ci avete lavorato?
Sì, è stato un processo lungo perché dopo aver parlato con queste donne ho dedicato molto tempo a risentire tutte le loro testimonianze e ho scritto una sceneggiatura. La parte visiva del film è stata girata esattamente come l’avevo scritta, sono rimasta connessa alle varie storie che mi erano state raccontate mentre lo scrivevo. Quando siamo arrivati al montaggio, quindi, avevamo già una base solida su cui partire: le testimonianze. Ovviamente abbiamo dovuto tagliare tanto, tanto, tanto… cercando di mantenere il minimo possibile, ma senza perdere l’essenziale di quanto era stato detto. Erano donne anziane che raccontavano una storia, la cadenza con cui parlavano era naturalmente lenta, si prendevano il loro tempo: abbiamo dovuto sintetizzare il tutto, ottenendo così le loro storie in una versione “più corta”. Ho avuto poi dialoghi intensi con il montatore, Bernat Aragonés, per capire insieme cosa doveva rimanere e cosa no, quale fosse l’essenza da mantenere, cosa fosse meglio per ogni singola scena accordandoci con quello che era lo script.
Si tratta del tuo terzo atto sul tema della sessualità femminile: credi di aver chiuso il percorso o tornerai ancora sull’argomento?
Sì, si chiude qui. È un progetto partito molto tempo fa, ho fatto un primo corto sulla sessualità in adolescenza, poi un lungo su una giovane donna e ora questo. Dentro questo terzo film, oltre tutto, sono comprese tutte le fasi dell’età di una donna, nei differenti ricordi. È stato difficile concludere il trittico perché i primi due lavori erano molto vicini al tempo in cui li ho girati, questo invece no, qui si parla degli anni ’50 e ’60, siamo in epoche diverse, in contesti diversi… sì, posso confermare che questo film è sicuramente il culmine di ciò che volevo raccontare sul tema della sessualità femminile.
Come mai questo terzo capitolo è sempre stato un documentario nella tua mente, contrariamente ai primi due?
Diverse volte nel tempo mi è stato chiesto perché lo abbia sempre immaginato come un doc e non come un altro film di finzione. Anche se poi è venuta fuori una cosa “strana”, un mix tra realtà e fiction, ho sempre pensato al documentario perché nella mia vita non ho mai, mai, mai sentito una donna anziana raccontare qualcosa sulla sua sessualità. Sentivo quindi che fosse molto importante dare “vera” voce a queste donne, che fossero loro a raccontare la loro storia, senza “finzionalizzarla”. Non volevo fare un drama movie, volevo lasciare loro lo spazio giusto per essere ascoltate.
Le donne in questo lavoro parlano di sesso ma anche di violenze, abusi, stupri: te lo aspettavi? Credi che il pubblico in Costa Rica sia pronto per parlarne?
Ammetto che non mi aspettavo ci fosse nei loro racconti così tanta violenza subita, all’inizio pensavo sarebbe stato un film con qualche dettaglio piccante sulle loro vite sessuali, con un po’ di umorismo anche, ma poi quando ho iniziato a parlare con loro quasi sempre emergevano esperienze di questo tipo e a un certo punto ho dovuto pensare a quanta violenza volevo che entrasse nel film. Volevo che si mantenesse un equilibrio, che ci commuovessimo con loro ma anche che ridessimo con loro, ma sono rimasta scioccata da quanto ho sentito: si parla davvero troppo poco della violenza dentro le nostre case, dentro al matrimonio, è ancora un tabù. Da noi in Costa Rica, come in Italia del resto, si dice “lavare i panni sporchi in casa”… Per me sarebbe un successo se anche solo una persona, dopo essere uscita dal cinema, si chiedesse come è stata la vita di sua nonna in questi aspetti. Se una sola persona volesse chiamare sua nonna e parlare un po’ con lei, sarei felice.
Qual è oggi la situazione in Costa Rica per le registe? È diversa da quando hai iniziato?
Costa Rica è una piccola eccezione nel mondo del cinema: ci sono tante registe! Noi donne facciamo film che escono anche in tutto il mondo, andiamo ai festival: siamo un gruppo molto forte, realizziamo lavori molto diversi tra loro. Siamo tante, più di venti, tutte con un lungometraggio girato, siamo davvero numerose: recentemente ho parlato con alcune colleghe che mi chiedevano perché c’è questa particolarità da noi, credo sia perché è un’industria (se possiamo chiamarla così) così giovane che non ha i vizi di quelle più vecchie, dove tutto è stato iniziato dagli uomini. In Costa Rica abbiamo una grande opportunità di fare qualcosa di nuovo: quando ho iniziato io non c’era una storia del cinema locale, erano stati fatti solo dieci film in tutto! Nessuno faceva film nel mio Paese, ma il digitale ha reso tutto più accessibile economicamente e ora se ne fanno circa dodici all’anno. Tutto è cambiato.
In chiusura, hai notizie su una futura uscita di Memorias de un cuerpo que arde in Italia?
Lo spero tanto: abbiamo un sales agent, abbiamo vinto un premio al festival di Ventana Sur che ci porterà al festival di Trieste, prima o poi, e spero anche nei cinema. Ma sarei contenta arrivasse in Italia anche solo su qualche piattaforma…