Essi vivono: analisi del cult di John Carpenter
La fantascienza come metafora socio-politica
Nel 1988, John Carpenter diresse uno dei film più importanti e riusciti della sua lunga carriera, Essi vivono (They live), tutt’ora un cult assoluto entrato di diritto nell’immaginario cinefilo del genere action/horror. Una pellicola così ricca di elementi che, per una sorta di illusione cinematografica, sembra durare più dei suoi 90 minuti – tanti sono gli avvenimenti che si susseguono e le metafore da interpretare. Eppure il film vola letteralmente davanti agli occhi dello spettatore, essendo diretto con un piglio spettacolare che il maestro ha dimostrato più volte e che qui raggiunge probabilmente il culmine con un’equilibrata miscela fra azione, orrore, sci-fi, suspense e parabola sociologica, con l’aggiunta di uno spiccato gusto per l’umorismo grottesco. Perché, alla fine dei conti, Essi vivono è una parabola socio-politica mascherata da horror fantascientifico: in un certo senso è paragonabile a Zombi (Dawn of the dead, 1978) di George A. Romero, dove i morti viventi diventano l’emblema di una massa amorfa, un popolo instupidito e consumatore. Lo stesso Carpenter, firmandosi con lo pseudonimo di Frank Armitage (forse in omaggio al libraio del lovecraftiano L’orrore di Dunwich), scrive la sceneggiatura partendo da un racconto dello scrittore Ray Nelson, Eight O’Clock in the Morning (1963), in cui uomo risvegliandosi da uno stato di ipnosi scopre che il mondo è governato dagli alieni. Nel film, il protagonista è John Nada (Roddy Piper), un vagabondo che giunge a Los Angeles e inizia a lavorare in un cantiere, dopo aver visto un reverendo cieco predicare alla folla su una futura apocalisse. Qui conosce Frank (Keith David), un operaio di colore che lo conduce in una sorta di dormitorio per i lavoratori: John si accorge di strani movimenti nella chiesa adiacente, che scopre essere il raduno di alcuni misteriosi individui, fra cui il predicatore. Essi trasmettono un programma pirata in televisione in cui si parla di un’imprecisata invasione in corso e si invita la popolazione a ribellarsi. Un’irruzione notturna della polizia sgombera il campo, e Nada rinviene nella chiesa alcuni occhiali da sole che si rivelano molto particolari: indossandoli, si vede infatti il mondo in bianco e nero, cartelloni e riviste nascondono messaggi occulti e molte persone si rivelano essere creature mostruose dal volto scheletrico. Ovviamente nessuno gli crede, e si trova così perseguitato sia dai mostri che dalla polizia: insieme a Frank, entra in un gruppo per la resistenza, di cui fa parte anche la misteriosa Holly (Meg Foster), e scopre così trattarsi di alieni che stanno colonizzando il mondo. John e l’amico si troveranno a combattere soli contro tutti.
Per parlare di Essi vivono, è necessario innanzitutto contestualizzare l’epoca in cui nasce: siamo nell’America reaganiana, con Reagan che ha governato per otto anni e poco dopo cederà il passo al suo vice George Bush lasciando quindi il Paese nelle mani del partito Repubblicano e conservatore. Sono anni caratterizzati da un capitalismo esasperato, tagli alla spesa sociale con conseguente incremento della povertà, sviluppo dell’industria militare e scarsa tutela dei lavoratori: è l’economia cosiddetta neo-liberista che consente il proliferare degli yuppies, del marketing, del consumismo e delle televisioni. Ecco, questi sono i “mostri” che Carpenter vuole mettere alla berlina con They live (un’opera sempre attuale e non legata solo al periodo in cui nasce), e lo fa con il suo consueto tocco orrorifico e spettacolare che non nasconde però il valore profondamente politico, anarchico e sovversivo del film, uno dei casi più estremi in cui il “genere” si mescola indissolubilmente al “discorso”. La descrizione di un mondo in preda alla follia urbana collettiva e sull’orlo dell’apocalisse è un tema ricorrente nei film di Carpenter: lo sci-fi action 1997: Fuga da New York, il thriller d’azione Distretto 13 – Le brigate della morte, il lovecraftiano Il seme della follia e il demoniaco Il signore del male. Quest’ultimo presenta più di un punto in comune con Essi vivono (l’avvento di un’apocalisse, i predicatori folli), ma se lì ci troviamo in un contesto più strettamente horror, nel nostro film Carpenter racconta le storture dell’America reaganiana omaggiando la fantascienza vintage degli anni Cinquanta. Il primo titolo che viene in mente è L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, con le creature aliene che si impossessano dei corpi sostituendosi agli uomini, ma anche molti altri B-movie che proliferavano nei decenni precedenti. La fantascienza è sempre stato un veicolo di metafore, forse per il suo essere così popolare e la capacità di arrivare quindi velocemente agli spettatori: se nel periodo della Guerra Fredda gli americani producevano film di sci-fi come monito sul pericolo dell’invasione russa, ecco che Carpenter genialmente fa una traslitterazione al passo coi tempi; se prima il nemico erano i comunisti sovietici, ora il nemico non viene più da fuori, ma è interno al popolo americano – e più in generale occidentale – e forse ancora più subdolo e pericoloso proprio perché si nasconde tra la gente, la manipola e la governa senza che nessuno (o quasi) se ne renda conto. Dunque, le soggettive degli occhiali sono rigorosamente in B/N come erano gli sci-fi di cui si diceva, i mostri sono para-umani e dal volto scheletrico, semi-decomposto (quasi degli zombi), con occhi bianchi e armati di un orologio in grado di farli sparire in caso di pericolo. Squisitamente fantascientifiche sono anche le piccole navicelle spaziali (i droni, diremmo oggi) che seguono e spiano i nemici, e la base segreta degli invasori, con tanto di varco spazio-temporale dove si può viaggiare attraverso i mondi.
Carpenter non omaggia solo la fantascienza, ma anche il western classico americano, un genere che per sua stessa ammissione è fra gli ispiratori del suo cinema: il caso più evidente è Distretto 13 – Le brigate della morte, un rifacimento moderno di Un dollaro d’onore di Howard Hawks e con John Wayne, ma molti altri suoi film hanno un coté decisamente western (pensiamo anche a 1997: Fuga da New York), e non a caso molte storie messe in scena sono basate su un assedio e contengono sparatorie e combattimenti (molto ben coreografati). Naturalmente il genere è modernizzato, stravolto, per certi versi anche ribaltato (parleremo poi della sua poetica anti-eroica), eppure ne conserva spesso i canoni basilari: se Distretto 13 richiama Un dollaro d’onore, Essi vivono può essere visto come la filiazione de Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens (e di altri western simili), con Roddy Piper moderno “cavaliere” che giunge a piedi in città e farà giustizia a modo suo. Come sempre, Carpenter è geniale nel costruire le storie e suscitare l’interesse nello spettatore, per cui non inizia subito con la messa in scena degli alieni. La prima mezz’ora è dedicata alla presentazione dei personaggi e all’introduzione di quello che sarà il fulcro della vicenda. Ci muoviamo in un contesto sub-urbano di povertà, desolazione e miseria, ben accompagnato dalle note in stile jazz/blues che Carpenter compone col fedele collaboratore Alan Howarth e che sentiremo più volte nel film, spesso unite a melodie coi tipici bassi ritmati e pulsanti. Vediamo scene inconfondibili dell’immaginario del regista, quali il folle predicatore cieco che parla in mezzo alla gente, la TV pirata che trasmette inviti alla ribellione, poi l’irruzione dei poliziotti e il pestaggio dei due ribelli in un angolo nascosto (inquadratura ripresa molto similmente ne Il seme della follia). Il celebre wrestler Roddy Piper si cimenta qui alla sua prima vera e propria partecipazione cinematografica, sicuramente nel ruolo più famoso e consistente della sua carriera nel cinema. Muscoloso, capelli lunghi e biondi, aspetto trasandato, ricorda nell’estetica lo Jena Plissken (Kurt Russell) di 1997: Fuga da New York: John Nada è un anti-eroe, un disadattato, un vagabondo, un uomo che si trova coinvolto per caso in questa vicenda, non parte con la missione di salvare il mondo. Come dimostra spesso nella sua filmografia, John Carpenter è un maestro non solo della suspense ma anche delle scene d’azione, e They live è uno dei suoi film più significativi in tal senso: con un montaggio rapido, si susseguono quasi senza sosta i drammatici scontri fra la polizia e i ribelli, le scazzottate (memorabile quella fra John e Frank) e le sparatorie – ricordiamo Piper armato di fucile e pistola contro i mostri e contro la polizia, e la lunga conclusione a base di mitra nella stazione televisiva.
Essi vivono è quindi un film geniale che permette di essere letto contemporaneamente su vari livelli di interpretazione, inscindibili fra di loro: l’horror, l’azione, l’omaggio alla fantascienza anni Cinquanta, il western moderno, e ovviamente (anzi, soprattutto) il discorso socio-politico. Anche per un neofita è impossibile non coglierlo, talmente i messaggi vengono sbattuti in faccia allo spettatore: le trasmissioni pirata (che tanto ricordano, anche se in senso diverso, l’inquietante frequenza de Il signore del male), gli slogan che Nada legge attraverso gli occhiali, la riunione dell’alta società nella base extraterrestre nascosta in un grattacielo, i gruppi che combattono per la resistenza. Le riviste e i cartelloni pubblicitari nascondono imperativi quali “Obey, Consume, Buy, Do not question authority, Marry and reproduce, etc.”, tutti messaggi subliminali attraverso cui gli invasori condizionano la mente della popolazione – è quindi evidente anche un caustico j’accuse contro il marketing e la pubblicità. Il nemico finisce per essere duplice: non solo i mostri, ma anche le persone normali che vedono lui come il diverso, il pazzo, il visionario, mentre non si accorgono (e del resto non possono accorgersi) che il nemico invasore sta al loro fianco e li controlla. C’è chi ha visto – ed è un’interpretazione molto plausibile – nella rissa tra John e Frank, il quale non vuole provare gli occhiali, una metafora sulla dicotomia tra chi vuole vedere e chi sceglie di non vedere: scrive Federico Chiacchiari in John Carpenter – La visione oltre l’orrore, “La resistenza di Frank a mettersi gli occhiali è quella di ognuno di noi nel cercare di “vedere” davvero la realtà. Per vedere bene dobbiamo lottare, e questo costituisce uno sforzo violento, non è un gioco da ragazzi”. L’accusa si estende man mano anche alla televisione e alla politica. I messaggi occulti e il segnale che rende irriconoscibile i mostri provengono infatti da un’emittente televisiva, il che ricorda un altro horror estremamente politico, Videodrome (1983) di David Cronenberg. Il mondo distopico raccontato nel film vede non solo uomini ed extraterrestri convivere nelle strade e nei negozi, ma diventa qualcosa di ancora più inquietante nella fase preparatoria al finale, cioè quando John e Frank si trovano all’interno della base aliena e assistono a una riunione delle alte sfere politiche ed economiche. Qui, attraverso le lenti a contatto che hanno sostituito gli occhiali (i loro effetti collaterali sono infatti pericolosi, quasi come una droga), i due “eroi” vedono alieni e umani che consapevolmente siedono l’uno accanto all’altro: come spiega un alto papavero, ormai l’invasione ha avuto inizio, e le creature degli altri mondi non solo vivono tra la gente ma siedono ai vertici del Potere – e qui viene in mente per certi versi Society (1989) di Brian Yuzna, un successivo apologo orrorifico sulle storture della società. I “mostri” – cioè il capitalismo fagocitante – controllano le masse, condizionano la mente delle persone, hanno in mano le leve del potere politico, economico e televisivo: è difficile immaginare uno scenario più catastrofico, nonostante il finale volutamente grottesco in cui gli alieni vengono messi a nudo grazie alla distruzione della stazione televisiva.