Abigail
2024
La cosa nasceva zoppa, almeno ai nostri occhi, che sono quelli di coloro che tra un rifacimento della Figlia di Dracula del 1931 (neppure la più pallida idea, detto senza alcuna vergogna, di che fosse, ma ci sono i riassunti per il volgo con cui istruirsi) e l’Abigail che hanno finalizzato, cioè scritto o meglio riscritto e portato in porto i tre del collettivo di Radio Silence, Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillet e il produttore Chad Villella, non riescono a trovare se non dei nessi molto lassi. Gli interessati riassumono come la Universal, mettendo loro in mano una sceneggiatura di tal Stephen Shields, gli abbia, in sostanza, detto: “Questo è il copione, ma fatene un po’ quello che cazzo volete”. I Radio Silence son quelli degli ultimi due Scream (uno peggiore dell’altro), ma sono anche quelli che hanno trofeizzato le migliori cose viste nei vari antologici V/H/S e in Southbound e che hanno firmato Ready or Not, gruppo di famiglia in un interno con scannamenti, tra l’azione cruenta e l’ilare-grotteso. Foscamente, lo ricordiamo, ma quel tanto che basta per capire che il nuovo Abigail manifesta diverse analogie con esso: perché anche qui si tratta di un gioco al massacro in luogo circoscritto, seppure con elementi di base differenti.
Joey (Melissa Barrera), Frank (Dan Stevens), Sammy (Kathryn Newton), Peter (Kevin Durand) e Dean (Angus Cloud, alla cui memoria il film è dedicato, morto venticinquenne per droga nel luglio del 2023) formano una, a dir vero scalcagnata, task-force di sequestratori, che su ingaggio di un tale (Giancarlo Esposito, negro nato in Danimarca con nome italiano), tentano di “svoltare” rapendo la figlioletta di un pezzo grosso e sigillandosi per una notte nel villone isolato del padre di costei, in attesa del pagamento del riscatto. Qualcosa tipo cinque milioni di dollari. La ragazzina, Abigail (Alisha Weir, classe 2009, dublinese), la prelevano in tutù, appena finito di danzare sul Lago dei cigni. E in tutù resterà per il resto della storia, estrinsecando le sue doti tersicoree che si uniscono e si armonizzano alla natura versipelle della piccola, che, prima, salta fuori essere la rampolla di un criminale dalla fama e dal potere tremendo (per cui i nostri, resi cogniti di ciò dalla stessa Abigail, cominciano a farsela sotto) e che, poi, snuda la maschera, dentatura da pescecane e occhi da lupo, della vampira che è. L’esplosione del “pacco bomba” e l’erompere di gayser di sangue è dilazionato il giusto, permettendo di illustrare tutta la prima parte con i cinque neo-criminali che hanno alle spalle trascorsi turbolenti e vissuti foschi, a un certo punto spiattellati davanti a tutti da Abigail, che li mette, l’uno dopo l’altro, con le spalle al muro e gli pianta le fauci nel collo.
I Radio Silence sono abili nel tenere la barra della navigazione tra il divertente e l’oltranzismo horror, con giusto mezzo, per cui non si scivola dentro la risata al sangue per mentecatti e, dall’altra parte, il tempo dedicato allo scatenarsi della vampira (che come sua abitudine, si è finta vittima per potersi divertire con le prede dentro quell’arena blindata) è contratto in modo tale da spremerne il meglio. Alisha Weir è davvero un mezzo portento quando dà il via ai massacri, piroettando e volteggiando come la Fracci e già questo da solo vale, come si sarebbe detto un tempo, il prezzo del biglietto. Pregevole anche il fatto che ormai, dopo un secolo e passa di Dracula & affini sugli schermi, si giochi sul dubbio se tutto quello che la tradizione ha tramandato come contravveleno ai vampiri funzioni davvero: aglio, croci (qui di un ciondolo al collo di Durand, Abigail ne fa addirittura un pugnale), paletti e luce solare. Il finale sacrifica al delicato di prammatica, nel voler salvare capra e cavoli (la vampiretta è cattiva sì, ma anche buona) e nel cavare dal mattatoio la “povera madre” Melissa Barrera, tuttavia i novanta minuti di tempo non c’è quasi mai la sensazione che li si stia sprecando. Tra meno di tre mesi, va da sé, nessuno si ricorderà di Abigail, ma nel frattempo…