Vincent deve morire
2023
Siamo tutti in pericolo
Pier Paolo Pasolini
Vincent deve morire è un film del 2023, diretto da Stéphan Castang.
Vincent (Karim Leklou) è un mite grafico pubblicitario che presto diventa vittima di assalti fisici e brutali prima dei suoi colleghi, poi di chiunque incroci lo sguardo in una escalation di violenza che lo costringerà all’isolamento nella casa paterna e poi alla fuga con due compagni di viaggio: l’affascinante e solitaria Margaux (Vimala Ponx) e un cane. L’esordio del regista Stéphan Castang con Vincent deve morire inizia come una commedia grottesca e soft horror (su falsariga de La comunidad) per poi virare verso l’asfissia carpenteriana e l’horror sociopsicologico. Vincent deve morire riesce a parlare lucidamente della pandemia e dei suoi effetti su di noi- senza volerne per forza parlare – a così poca distanza da quella catastrofe mondiale. Il bello di Vincent deve morire non è solo ricreare in chi guarda un’atmosfera insalubre di claustrofobia, ma che possiede diversi piani di lettura e tutti, indistintamente, potrebbero andare bene per spiegare questi tempi di violenza interrotta, soffocata e relegata con la tristezza e la morte (e ogni sentimento che ci costringa a pensare) nelle periferie dell’anima.
Ci vuole una educazione allo sguardo, a cosa si guarda, a chi si guarda, e a chi si rimanda l’immagine di sé. Nell’epoca del voyeurismo così come dell’esibizionismo d’accatto, Crane ci ricorda che nella bulimia di immagini di violenza (e il genocidio a Gaza non è altro che l’ennesima prova) da cui veniamo sovrastati non ci possono essere che due reazioni: da una parte la totale e completa assuefazione, dall’altra rimettere al centro della scena quella bestialità (che non ha nulla a che fare con quella animale, e gli animali qui sembrano immuni alla psicosi violenta di massa) che la cosiddetta società civile ci ha costretti a sopprimere. Ciò che scatena la spirale di violenza nel mondo attorno a Vincent è lo sguardo, il rimandare al prossimo il suo riflesso e ciò che l’altro riceve da noi, inevitabilmente, non è necessariamente qualcosa di buono o giusto. Eppure, ce lo avevano già insegnato i terroristi dopo la tragedia del 9/11 che la violenza funziona magnificamente per immagini, e chi la commette usa gli stessi strumenti che usano i pubblicitari per vendere prodotti: il nostro orrore è stato comprato, così come l’indignazione, ecco perché non siamo tenuti a vedere gli scenari di violenza e di guerriglia quotidiana per sensibilizzarci, al massimo gli stessi criminali (terroristi o capi di stato poco cambia) creano una catena infinita di domanda e offerta.
Presentato alla Semaine de la critique a Cannes 2023, Vincent deve morire dal 30 maggio al cinema e distribuito da I Wonder Pictures, è un gioiellino che perde un po’ della sua purezza nel finale – o la acquista – , e a questo punto la sceneggiatura di Mathieu Naert diventa confusa: solo abbracciati i nostri più biechi istinti, accettata la violenza che fa parte della nostra natura – in barba alla cultura woke e a tutte le pastoie folli degli ultimi anni – potremmo rieducarci a noi stessi e all’altro. Vincent non è l’unica ‘vittima’, è uno tra i tanti che decidono di scappare sentendosi un perseguitato (un po’ come alcuni no-vax che si sono auto isolati come Des Esseintes fabbricando lampade da mare mentre la gente agonizzava, isolata, tra gli ospedali e casa). O, forse, più banalmente – ma non in quest’epoca esangue di sentimenti -, come scriveva John Lennon in Mind Games: ‘L’amore è la risposta’.