A proposito di Salvatore Baccaro
Un “mostruoso” caratterista, senza il quale il bis italiano sarebbe stato gravemente diminuito
Roccamandolfi, comune italiano di 896 abitanti della provincia di Isernia in Molise. Patria di molti uomini dediti al brigantaggio post-unitario. Ma patria, soprattutto, di Salvatore Baccaro, che vi nacque il 6 maggio del 1932. La sua storia comincia nel momento in cui si trasferisce nella capitale, alla ricerca di un lavoro. Una deformazione del massiccio facciale – tecnicamente trattavasi di acromegalia (la medesima patologia che afflisse Richard Keil) – contribuiva fin da piccino a renderlo offensivo agli occhi, da una parte, ma dall’altra lo avvolgeva con il fascino che sempre si accompagna alla persona “segnata”. Al Difforme. Nella capitale si trovò a vendere fiori in un banchetto sulla Tiburtina, di fronte ai teatri della De Paolis: una sorta di meta prestabilita, una locazione destinata. Fu lì, infatti, che un giorno, come storicizza oggi il fratello Armando, Carmelo Bene cominciò a camminare intorno al chiosco, intorno a Baccaro, come un leone che fa la posta alla propria preda. Azzardò la domanda se Salvatore avesse mai fatto cinema e se gli interessasse farlo. Baccaro rispose, nell’ordine, no e sì. Nel giro di un’ora avrebbe avuto tra le mani un contratto, per il ruolo di comparsa in Salomé. Forse le cose furono più complesse di come ricostruisce il fratello: a dirlo sono i fotogrammi dei film pre-Salomé in cui Baccaro non può fare a meno di essere notato. La moglie più bella di Damiano Damiani (marzo 1970), Ma chi t’ha dato la patente? (agosto 1970), un Franco & Ciccio peraltro diretto da Nando Cicero, uno con grandissimo occhio clinico per il Difforme. Si potrebbe indagare a quanto tempo prima del passaggio in censura, nell’agosto 1972, risalissero le riprese effettive di Salomé, e si scoprirebbe che fu nel luglio 1971, ma sarebbero questioni piccole. Un fatto è che dal 1972, equamente ripartita tra i western e i decamerotici, comincia l’irresistibile ascesa di Baccaro nel bis italiano.
Dove il suo carattere (e il suo carattere somatico) si sarebbe prestato a diventare, tra gli altri, quello di un frate in purgatorio, di un’infermiera-uomo, di un capraio, di un Satanasso, di un brigante, del Golem, di un orco (a due riprese), di un adepto di Satana, di un uomo di Neanderthal (a due riprese), della madre di un posseduto (Satanetto), di una “Bestia” in calore, di un Lupo cattivo, di un detenuto checca, di un flipperista, di un capo dei cavernicoli, di Schiattamorto eccetera eccetera. Nelle sue bio-filmografie vengono contati una settantina di film, ma è altamente probabile siano di più. Il fratello parla di cento e rotti. Dario Argento in Profondo rosso lo prese per fare il fruttarolo, presso un banchetto sulla strada: cioè, in pratica, per interpretare se stesso. Ma pochi rilevano che Dario se lo era portato dietro dal film precedente, Le cinque giornate, con un ruolo non proprio microscopico. Il suo percorso terreno terminò alla fine del 1984, quando a seguito di un’operazione alla tiroide subentrarono complicazioni legate a un edema polmonare. Perché sia deceduto a Novara, il 18 di quel mese, si deve probabilmente alla logistica dell’intervento. Quel che è certo è che Baccaro era stato provinato e scelto da Jean-Jacques Annaud e aveva già ricevuto da studiare la parte del copione che lo riguardava, per Il nome della rosa. Un uomo buono e generoso, a dispetto del suo sembiante, come spesso accade ai “mostri”. Ma soprattutto un “mostruoso” caratterista, senza il quale il bis italiano, e particolarmente i decamerotici, sarebbero stati gravemente diminuiti.