Amerigo Biadaioli: recitare e produrre

Da The Ministry a Brotti, corto & progetto crossmediale d'avanguardia

Amerigo Biadaioli è fiorentino, vive tra Berlino e la città del Giglio. A colpo d’occhio, sembra più giovane dei trenta erotti anni che ha. Fa l’attore, ma anche il produttore, nonostante, sagacemente, abbia studiato in tutt’altro campo per garantirsi un piano-B  nella vita. Biadaioli è entrato quest’anno nel progetto di Brotti, un’iniziativa cross-mediale, d’avanguardia, partita da Manuela Zero e da Davide Santi con un album musicale, Brotti!E non ridere che sei come loro (il primo tragico disco dei brutti e rotti) che si è sviluppato e diramato in uno spettacolo teatrale e in un cortometraggio. Badaioli ha appena terminato anche un suo short, The Ministry, del quale è interprete e produttore, per la regia di Aaaron Ryan. Entusiasta e molto determinato, ama parlare di sé e del proprio lavoro senza filtri, pane al pane, vino al vino e cinema al cinema. Si intavolano con lui interessanti discussioni sul Mostro di Firenze, anche… ma questa è un’altra storia…

Allora, partirei da The Ministry, questo recente cortometraggio che hai realizzato a Berlino. Tu interpreti un burocrate che cerca di sollevare il velo sul marcio di un Ministero della sicurezza e ti trovi faccia a faccia con una diabolica Carlotta Morelli. Molto ben girato e curato, direi, glaciale, metafisico… Parliamo di questo, intanto…

Guarda, sono lusingato se hai colto tutto l’impegno che ci abbiamo messo. La mia era l’idea di un interrogatorio, in origine, cioè io ero già contento con cinque minuti concentrati nella scena dell’interrogatorio. Poi ho trovato Carlotta Morelli ed è stato un gran bel colpo. Ci ho messo, paradossalmente, più tempo a trovare il partner giusto, cioè il regista giusto. Che, innanzitutto, capisse quello che volevo raccontare, quindi un certo mondo, scuro, che però mostrasse anche una sorta di luce di candela, briciole di speranza. Però cupo… E tutti i crismi di cui parli, è vero, ci sono, perché abbiamo dedicato cinque giorni pieni alle riprese. Abbiamo voluto curare ogni dettaglio.

Il soggetto e la sceneggiatura sono tuoi?

Il soggetto è mio. Poi… ed è il leit motiv di come approccio questo lavoro e di come vorrò approcciarlo sempre, sia da attore, e quando capiterà, come produttore… Il leit motiv è anche conoscere me stesso, nei pregi e nei limiti. Quindi, una volta fatto il soggetto, ho cercato di delegare una persona in gamba, di madrelingua. Aaron Ryan è il regista che ha sviluppato la sceneggiatura e ha inserito il personaggio della collega. Nella mia idea del soggetto, era un amico o un’amica del protagonista, che era morta per i maneggi di questo Ministero, di questo Ministero del Male, che oramai domina imperterrito. Quindi, regia, sceneggiatura e montaggio del corto sono di Aaron.

Già lo conoscevi?

Avevo iniziato ad aprire, un po’ come faccio sempre, tutti i canali, parlando con la gente, lavorando sui social, cercando di trovare un passaparola e di contattare direttamente le persone. A un certo punto, siccome non riuscivo a farcela attraverso i canali legati al cinema, perché molti si dimostravano parolai… molti non sapevano nemmeno chi fosse, tanto per dire, Brad Pitt e lo confondevano con Denzel Washington o con Morgan Freeman… insomma, roba da chiodi… a un certo punto, dicevo, cambio passo: “Proviamo a parlare con altri artisti, musicisti, ad esempio. Così tramite un ragazzo che si era proposto, che mi aveva scritto per comporre le musiche del corto… è Francesco Marzola, colui che si è occupato della colonna sonora di The Ministry. E lui, che per fortuna ha una certa sensibilità, ha capito chi era, cosa voleva Amerigo, si è preso una settimana, dieci giorni, promettendomi che mi avrebbe trovato qualcuno. Così sono arrivato ad Aaron, che viveva a Berlino anche lui. Io avevo bisogno di una base, uno “zoccolo duro” che fosse lì in città. Perché volevo ragionare un po’ stile “vecchia scuola”, mantenendo un contatto continuo e diretto con chi collaborava al corto. Quindi, a Berlino avevo la possibilità di parlare con Aaron direttamente, faccia a faccia, quando volevo. Con gioia, con grande gioia.

Amerigo Biadaioli, in The Ministry (foto di Luca Morgantini)

Carlotta Morelli mi dicevi che l’avevi adocchiata tramite l’ultimo film del povero Ruggero Deodato, Ballad in blood

Esattamente. Avevamo, con Aaron, già individuato un trio di ragazze papabili, che ci piacevano, però con la mia linea guida iniziale, di base, per cui doveva essere un volto molto espressivo, ma più che altro, anche umanamente, doveva avere un certo carattere. Ne avevamo già due molto, molto valide, poi volevamo però anche un tocco british, perché se hai visto il corto, sai che lei, l’antagonista, parla un inglese spiccatamente british. Volevamo questo per giocare un po’ sull’idea del “Potere”. Alla fine, gli inglesi, piaccia o non piaccia, sono abbastanza classisti… Ho vissuto a Londra e lo posso ben dire. Hanno una storia, in rapporto alla schiavitù, non proprio rosea. Guardo il film di Deodato, perché era l’ultimo che mi mancava della sua filmografia, e vedo Carlotta… La vedo e dico: “Eccola, l’ho trovata, l’ho trovata!”. Le ho scritto, già forte di una sceneggiatura solida, che lei legge e le piace. Io credo tantissimo in quello che ho da dire e penso che lei si sia convinta. Ragazza di grande intelligenza sensibile, ha capito questo entusiasmo. Ed è venuta a Berlino, contentissima: non ci era mai stata prima…

Chi è la ragazza mora, l’altra tua partner nel corto?

Lei è Flora Pauer, la mia amica-assistente-coach, perché io so l’inglese, ma recitare, in inglese, è un’altra storia. Su questo, infatti, ci voglio lavorare perché di attori italiani che parlano inglese bene non ce ne sono molti. È una carta che voglio spendermi al meglio, questa. Comunque,  mi trovo così bene con Flora, anche attrice, che, parlando con Aaron, gli dico che avevamo trovato anche la mia collega, nella storia. Ci parla anche lui, giustamente, da regista, e anche lui effettivamente si rende conto che la chimica c’è. Degli altri interpreti, Richard Lingscheidt, il giornalista, lo ha trovato Aaron, come anche il poliziotto.

Tu nasci fondamentalmente coltivando la passione per la recitazione. Torniamo alle tue origini: c’è un richiamo primario che poi a un certo punto diventa pratico, non rimane solo teoria astratta… Contemporaneamente studi, cioè porti avanti un piano b…

Esattamente, fu un richiamo, l’hai definito perfettamente, cioè ho obbedito al “richiamo” di dare vita ed espressione a questo mio demone… il daimon nel senso greco: risvegliarlo e dargli vita. Nasce, il “richiamo”, nel momento in cui entro in una sala cinematografica… mi ricordo ancora, era il 1991… a vedere La Bella e la Bestia. Avvertii una sensazione di grande rassicurazione: era un rifugio, mi sentivo al riparo da ogni paura… Poi ho iniziato a fare piccole clip, piccoli spettacoli teatrali con amici. E già lì mi rendevo conto che ero me stesso, sentivo che recitare, per me, significava ricomporre tanti pezzi. Questo accadeva già alle elementari: eh, me le ricordo bene quelle recite… Poi, durante gli studi superiori, quando nei weekend mi chiamavano, facevo qualche videoclip, qualche workshop teatrale, ma erano proprio schegge. Nel recitare, io, sì, mi sentivo sicuro e nella condizione di non essere più giudicato come quella persona “sì interessante, ma irrazionale”. Quando recito, sento che sono libero e… mi fa anche “ridere”, perché per me significa anche po’ uno scherzare con un certo conformismo…

Questo è interessante: spiegami…

Ma sì, perché mi viene da pensare: “Ok, vi emozionate, poi però nella realtà e nel quotidiano non vi lasciate andare…”. Sto provocando, ovviamente! Ognuno è libero di comportarsi secondo quello che sente. Ma per questo io poi ho continuato a recitare, perché lì mi sentivo davvero libero e vedevo persone nel set che stavano là a guardarti, a rispettare ogni tua interpretazione, ed era tutto ossigenante proprio, era respirare…

A parte le recite che mi dicevi, c’è stato poi un momento in cui hai cominciato “a fare sul serio”. Mi parlavi di vari corti che hai realizzato, prima di quest’ultimo The Ministry

Sì. Il tutto partì con dei corti, in cui venivo chiamato da persone che mi conoscevano e sapevano che adoravo recitare. Ti parlo di videoclip musicali, proprio al principio, eravamo nel 2014. Poi, tra gli esami di economia all’Università, tra gli impegni in albergo di mia madre, tra mille fuochi e fuocherelli, ogni spazio lo riempivo, o con videoclip, o con una lettura, un workshop o con qualche altra attività. Quando mi trasferisco a Berlino, ecco che lì trovo l’equilibrio ideale: mi sono costruito, pian piano, una situazione con il lavoro che mi permettesse di portare avanti tutto questo aspetto artistico della mia vita, con maggiore costanza, con molta più determinazione. E anche con delle risorse che mi permettessero di concretizzare il lato produttivo…

Quindi non semplicemente essere attore, ma essere anche una mente operativa, esecutiva…

Sì. All’attivo ho quattro corti, uno dei quali è The Ministry. Ho investito personalmente su di essi. The Ministry è stato girato nello scorso luglio. Ce n’è poi un altro che ha un titolo provvisorio, Piccoli frammenti di una dichiarazione d’amore, che è stato completato e il regista, Giulio Rasi, sta lavorando ora sull’editing, ma in un mese, a fine ottobre, sarà pronto. E con The Ministry sono due. Queste sono le mie due più recenti, chiamiamole “creature”, a cui tenevo dare una vita. Poi ci sono un paio di altri corti dove ho solo recitato e varie miniclip. Diciamo che negli ultimi due anni ho spinto più che potevo, anche perché avevo raggiunto un mio equilibrio e l’equilibrio è essenziale per muoverti al meglio.

Dunque, in questo contesto salta fuori il progetto Brotti. Quale è stata la scintilla iniziale? Eri già alla ricerca di qualcosa da fare, da produrre, o è stata una fulminazione nata dall’incontro con Manuela Zero?

Se devo risponderti in maniera secca, senza nemmeno pensarci, a colpirmi è stata la determinazione che Manuela esprimeva in un’intervista che avevo letto, proprio su Nocturno, parlando del corto che aveva allora interpretato, Cinquantadue, sulla violenza contro le donne. Bolliva allora dentro di me l’idea di parlare di un interno di coppia in cui ci fosse anche una questione di abusi, però non era ben chiaro lo spunto. Ero allora alla ricerca di una persona esperta. Qualcuno che avesse molta più esperienza di me: ed ecco che leggo le parole di un’attrice affermata in Italia, che ha lavorato con tutti i più grandi registi, che fa teatro, che danza, che balla, quindi poliedrica… Io in quel momento ero affamatissimo, stavo lavorando su The Ministry, volevo parlare con qualcuno e trovare il contatto con qualcuno esperto. E rimango colpito perché finalmente, dopo anni… io leggo tantissime interviste, tantissimi articoli… trovo qualcuno che esce dagli schemi e parla spassionatamente, senza paura, di quel che vuole fare, di quello che ha vissuto, senza remore, con il cuore in mano. Sono arrivato alla fine dell’intervista e un secondo dopo le ho scritto… Tra l’altro, ero al cinema, Manuela questo lo sta, sono entrato in ritardo a vedere il film, non ricordo quale, perché mi ero messo subito a scriverle. Fortunatamente mi ha risposto… e non capita spesso con attori e attrici che hanno agenti e agenzie. Quindi mi è andata bene. In quattro righe, le dissi: “Ti ho letto. Voglio lavorare con te come attore. Ma sappi che io produco anche….”.

Manuela Zero, Amerigo Biadaioli e la violinista Cecilia Drago

E Manuela Zero, che ti rispose?

Fu amorevole, perché mi disse, nelle prime videocall: “Ti apprezzo moltissimo, perché tu mi proponi qualcosa che non fa nessuno”. E lì ho capito che c’era, allora, lo spazio per fare anche, con piccole cifre, il produttore. Fui molto chirurgico, con un budget preciso. Le dissi che volevo vedere il suo corto Cinquantadue, ma ero determinato a lavorare con lei, anche producendo. Se aveva qualcosa in mente, era la benvenuta. E lei tornò da me con una controproposta, dicendomi, certo, che avremmo lavorato insieme con grande piacere, ma che aveva qualcosa che sognava da una vita. E questo era Brotti

Mi sembra dunque di capire, dalla ricostruzione che stai facendo, che tu pensavi molto probabilmente a un corto, a produrre un corto con Manuela, quando le hai detto di poter mettere a disposizione un certo budget…

Esatto, l’idea precisa era questa. Ero determinato a lavorare con lei come attore, cioè immaginavo una storia, anche semplice, minima, ma scritta da Dio, scritta bene, con spessore, tra me e lei, perché sapevo che avremmo funzionato ed ero disposto anche a dare una mano produttivamente. Intervengo, quando posso, con l’idea di produrre, di dare una mano, perché so che comunque, anche per chi è molto affermato, avviato, questo è sempre un problema… Io sono ferocemente determinato a entrare “nel vivo” delle cose, perché penso di capirci un po’ di cinema, nel senso che io lo sento se un attore, un’attrice, “è dentro” ed è in contatto con gli altri, se il fonico è in contatto con gli altri… Le “amebe” o la gente che pensa soltanto a vincere Festival, a incassare 200 € o 1.000 € in più, non le voglio nel mio sentiero. Quindi mi sono reso conto che, se non entro, anche dal punto di vista economico, se non supporto economicamente, le cose, le cose non si fanno.

Manuela ti contatta e rilancia con la possibilità di qualcosa di più ampio e ti parla del progetto Brotti: come te lo descrive?

Me lo illustra come un progetto crossmediale, che era già partito con un album musicale. Mi parla di questi personaggi, “brutti e rotti”, da cui il nome “Brotti”. Queste persone, questi soggetti alla De Andrè, ghettizzati, ma, in realtà, pieni di dolore. Questo lei mi raccontava, e già io capivo e mi convincevo. Perché lei era molto, molto personale. Otto personaggi, in difficoltà, con un vissuto tragico ma con una disperata voglia di vivere. E lì mi sono convinto. Personaggi che si raccontavano, con rimandi a un classicismo in salsa un po’ postmoderna. Mi sono detto: “Finalmente si inizia a ragionare di qualcosa di spessore!”. Ovviamente, la storia di Manu era portata all’estremo, ma fino a un certo punto: cioè sono personaggi reali, che hanno una profondità, con dei richiami felliniani. Ma oltre alla descrizione del progetto artistico, a convincermi era anche la voce di un’attrice, Manuela, che aveva qualcosa da dire, qualcosa di autentico da dire. Mi parla dell’album e mi dice che è già praticamente anche uno spettacolo teatrale…

E a questo si aggiunge poi l’idea di un corto…

Sì, esatto, si arriva all’idea del corto più o meno in questo modo: Manuela e Davide Santi mi parlano del fatto che c’è bisogno di chiudere il cerchio, che significa produrre un cortometraggio: perché mancava, gli mancava in questo progetto, per portarlo a un’organicità, un cortometraggio. Mi hanno coinvolto, abbiamo parlato, io ho detto la mia. Si parla di un cortometraggio in bianco e nero, si parla di personaggi malinconici che hanno voglia di gridare e di inneggiare ancora alla vita. Davide Santi ne ha firmato la regia…

Nel corto troviamo, dunque, una serie di personaggi che vengono portati sulla scena dalla performance di Manuela Zero

Sì. c’è l’album che contiene delle tracce musicali, cantate dagli stessi personaggi. Che poi vengono trasposti teatralmente e nel corto con un parlato. Ma nell’album sono sempre loro, Teresa Lavecchia, Marì, Camilla, Jenni Sincolla, Gaetano, Nina… in totale sono otto personaggi, con anche un omaggio finale a Sandra Milo, con la quale Manuela ha avuto un bel rapporto di collaborazione e amicizia. Quindi conclude con un ricordo e un omaggio a lei. Ma sono, sì, nel disco delle tracklist che poi in teatro e nel corto “prendono corpo” e raccontano la loro storia. Nel corto, ovviamente, con i crismi del linguaggio del cinema. Il cortometraggio era la terza voce che mancava per dare a questo progetto, come ho detto, un’organicità e fare in modo che arrivasse a tutte le persone, cioè permettesse anche a chi magari non ha la sensibilità teatrale o quella musicale di entrare più direttamente in contatto con i personaggi. E questo, a mio giudizio, è bellissimo, è originale.

Certamente è qualcosa d’avanguardia, sperimentale. Leggendo il comunicato stampa, mi venivano in mente un certo tipo di iniziative degli anni 70, in cui c’era molto fermento creativo, sperimentale, la voglia di rompere gli schemi. Cosa che oggi è quasi totalmente scomparsa. Un progetto di questo genere mi pare che torni un po’ verso quel tipo di filosofia e verso quel tipo di approccio…

L’hai collocato nel decennio secondo me più esaltante, degli anni Settanta. Più libero. Si cercava di guardare al passato, però poi lo si riproponeva con una grande originalità, senza porsi limiti. Questo è verissimo. E questa è l’ambizione e la spregiudicatezza che vogliamo mettere in gioco qui. La crossmedialità pochi riescono a raggiungerla con efficacia, perché è veramente complicato, anche per persone che hanno grandi risorse o hanno grande visibilità. Hanno fatto un nome, Pablo Trincia. Trincia è uno certamente da applaudire…

Amerigo Biadaioli (foto di Niccolò Romagnoli)

Amerigo Biadaioli (foto di Niccolò Romagnoli)

Ma addirittura, guardando indietro, io spenderei il nome di Carmelo Bene

Guarda, hai fatto un nome che avevo proprio in mente… E la cosa mi fa tanto, tanto piacere perché sento, ecco, sento tanta intensità e comprensione: l’idea era proprio quella di tornare a una voglia di rompere gli schemi. Per questo andiamo a cento all’ora, pensando a noi e senza preoccuparci di qualsiasi altro giudizio.

Quando porti avanti operazioni di questo tipo, devi procedere veramente a testa bassa. È appunto qualcosa di sperimentale, quindi, in quanto tale, devi sperimentarlo: non c’è niente da fare, non è un gioco di parole…

È esattamente così. Ti parlo da produttore del corto, ma ovviamente, prima di tutto, io sono rimasto colpito, contento e gratificato che loro, Manuela e Davide, abbiano voluto coinvolgermi con grande convinzione in tanti aspetti, ripeto, anche nel parlare, confrontarsi, discutere sul come mettere in scena…

Parliamo della reperibilità: l’album, intanto, è disponibile sulle piattaforme…

Esatto, Spotify e Amazon, dal 27 settembre. Anche per il corto e per lo spettacolo teatrale, siamo continuamente in lavorazione, per ampliare e trovare altre piattaforme, altri spazi, altre realtà. C’è stato l’esordio ufficiale a Sorrento, a teatro, che è andato benissimo, con grande affluenza e grande interesse, curiosità. E Brotti aprirà a Roma verso la metà di novembre la stagione del teatro Off/Off, il 15, 16 e 17. Poi seguiranno altre date. Ti posso dire Napoli e Milano ad esempio. A Firenze mi sono adoperato per trovare due spazi e li ho trovati, poi il management di Francesca Corbo svilupperà i dettagli. Ovviamente è un lavoro in fieri ed è un lavoro che è appena iniziato…

In bocca al lupo, Amerigo…

Crepi…