Ettore Scola è morto
La scomparsa di un maestro che guardava anche in basso
Ettore Scola è morto, W Ettore Scola come si dice in questi casi. Ma in questo caso lo si dice credendoci. Stamattina, gli imbecilli della destra titolavano su un loro cesso di giornale: “Morto il regista che odiava Berlusconi”. Ma che vi venisse un ictus fulminante, right now. Comunque, al di là di questi miserabili, della stessa risma di chi scrisse, quando si suicidò Lizzani, che Monicelli era saltato di sotto da un piano più alto del suo e che quindi anche in questo si vedeva la differenza di caratura, bisogna constatare come l’albero cui tendevamo la pargoletta mano, del cinema italiano, si va davvero svuotando delle ultime foglie rimaste. L’altro giorno Franco Citti, ora Scola, che aveva comunque superato abbondantemente l’ottantina e più di vecchi, purtroppo, non si campa: ne resta solo lo scheletro, stagliato contro un cielo livido. Vorrei anzi voglio ricordare Scola attraverso un paio di suoi film, convinto che da qualsiasi parte si pilucchi la sostanza di un grande regista, il gusto resterà sempre pieno e fragrante al palato.
Le prefiche alla radio e su Internet non fanno che citare Una giornata particolare e La famiglia e La terrazza – dove c’è una grande battuta di Gasmann a non ricordo chi, che sta sparando ovvietà su ovvietà nel discorso: “Ecco, ora manca solo che tu dica che di mamma ce n’è una sola e che i negri hanno la musica nel sangue”. Sono le cose che veramente restano di un film. Scola una volta decise di compiere un viaggio nel Paese dei Mostri e girò Brutti sporchi e cattivi. Era il 1976, era il cuore dell’universo pulsante, degli anni Settanta. Stare in un film del genere significava stare al centro di tutto. Nino Manfredi, mezzo guercio, lercio e pieno di fiele come dice il titolo, si muoveva in un girone infernale iperrealista, dentro un film che riusciva a rendere lirico anche un momento come quello in cui il protagonista si spara acqua di mare in gola, con una pompa da bicicletta, per vomitare il veleno che gli scarafaggi dei suoi famigliari gli hanno ammannito in un piattone unto di pasta con le melanzane. L’immagine del film, Manfredi che sbocca in una caletta fetida e puzzolente, ginocchioni sulla sabbia della battigia. Al tramonto, mi pare. Brutti, sporchi e cattivi è una specie di poema epico del basso e del ripugnante, è il luogo in cui nessuno di quegli stronzissimi registi italiani che oggi sono in circolazione andrebbe mai a cacciare il naso. Una zona morta ma viva dove uno come Scola riusciva a portare il cinema. Questi grandi erano tutti molto attratti dall’infimo e riuscivano a vederci dentro, e di conseguenza a mostrare anche a noi, la bellezza del mostruoso e del miserabile. Avevano due geni, due guide, due colonne ai lati, tipo quelle che introducono al tempio massonico: uno era il realismo, l’altro era il grottesco.
Scola ha fatto tantissimi film che oggi si vedono di meno, latitano anche nei dvd, almeno in Italia. Uno è certamente Il commissario Pepe, dove io più che il dio Tognazzi, ricordo il grande Giuseppe Maffioli, un altro dei grandi brutti sporchi e cattivi di Scola, che se ne va in giro sul suo triciclo, a Bassano del Grappa, mi pare, a sputtanare di notte i borghesi provinciali che dormono sonni poco tranquilli. Il commissario Pepe è un film che si potrebbe vedere in loop, senza mai provare noia o tedio, perché ogni visione è nuova. E poi, oltre a quello che vi suggeriscono le prefiche accademiche, andate magari a ripescare Signore e signori Buonanotte, che è un film collettaneo, d’accordo, non solo scoliano ma pieno del nume di tanti altri geni del vecchio cinema italiano, Incrocci, Benvenuti, Comencini, De Bernardi, Loy, Maccari, Magni, Monicelli, Pirro, Scarpelli. E direi che la faccio finita qui.