Incontro con Tim Burton
Parla il regista del nuovo Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali
Tim Burton è volato a Roma per presentare il suo nuovo film, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, tratto dal best-seller di Ransom Riggs. Protagonisti, un gruppo di ragazzi “differenti” e una governante, bella e misteriosa, che il regista stesso ha definito “La Mary Poppins degli esclusi”.
Certamente un “bambino peculiare” qual è stato Tim Burton non poteva non restare affascinato dal romanzo di Ransom Riggs; e guardando il regista oggi – spettinato, magro, in un completo dark e calzini a righe bianche e nere – ci si rende conto che egli è ancora il bambino di allora, un artista “diverso” e senza tempo. L’entusiasmo con cui ci parla del film nasce dal suo immutato sguardo infantile e naturalmente portato al meraviglioso, e dall’amore per le creature “strane e oscure”.
Qual è stata la scintilla che lo ha portato ha realizzare un film da un romanzo così complesso?
Il titolo mi ha colpito: Peculiar Children, ragazzi speciali; esattamente come la mia infanzia. Mi sentivo affine al personaggio principale, Jake, un ragazzo goffo che ha una sensibilità differente, e prova il disagio della diversità a livello interiore. È una cosa in cui mi sono completamente identificato. Anni fa anche io ho realizzato un libro che aveva per protagonisti dei “ragazzi speciali”, ovvero Morte malinconica del bambino ostrica, per cui la connessione col romanzo di Ransom Riggs è stata immediata. Ma c’è di più, mi ha colpito il modo in cui l’autore ha organizzato i vari elementi della storia partendo da vecchie fotografie. Io sono un collezionista di foto, e guardare una vecchia fotografia è come sentirsi raccontare una storia, ma non completamente. La foto conserva una parte di mistero, di poesia, conserva i fantasmi. È qualcosa di magico, potente ed evocativo.
Ha avuto anche lei, come il protagonista del film, un adulto o un familiare che l’ha aiutata a diventare ciò che è oggi?
Si, anche se diversamente dal protagonista non ho avuto un nonno alle spalle, bensì una nonna; è stata molto amorevole e incoraggiante, e mi ha spinto a essere me stesso, e a seguire il mio impulso creativo. Ma ho avuto anche il sostegno del mio insegnante d’arte, uno soltanto. Nonostante io sia cresciuto in una società che divideva le persone in categorie, entrambi mi hanno aiutato a sbocciare artisticamente. Mi ritengo fortunato, a volte due sole persone sono sufficienti.
Come mai anche per questo film non ha scelto di collaborare, per la colonna sonora, con Danny Elfman?
Ho rinunciato alle musiche di Elfman perchè siamo come una coppia che litiga, si allontana, poi si riappacifica. Danny è uno dei miei amici e collaboratori principali ma ogni tanto sente il bisogno di prendersi una pausa da me. Ci capita di avere impegni che ci tengono lontani, ma anche di litigare spesso; e lui, essendo un musicista, è molto melodrammatico (ride)
In questo film sono compresenti stop motion e cgi. Cosa preferisce?
La stop motion è la mia arte: la amo. È così bella, è qualcosa che puoi toccare e sentire, è davvero unica e speciale. Poi c’è la cgi con cui si possono fare cose meravigliose, ma io continuo ad adorare la stop motion, e se vi rinuncio è semplicemente per una questione di tempo. In questo film la lotta tra le due bambole è realizzata in stop motion, ed è come guardare opere d’arte in movimento.
Rispetto al libro, il film ha un finale differente che sembra precludere la possibilità di un sequel…
Sì, il finale è autoconclusivo ma per una scelta istintiva, non per un motivo razionale: lo sentivo così. Non mi interessava la promessa di un seguito. Nel romanzo le foto raccontano tutto della storia, e nel modo giusto; e con il mio film ho usato le immagini in movimento per catturare questo “indefinito” delle fotografie.
Come mai Eva Green nel ruolo di Miss Peregrine? È più giovane rispetto al personaggio di Riggs…
Eva Green è stata la mia prima scelta, incarna tutto quello che io vedo in Miss Peregrine: è dolce e forte, divertente, potente, con una presenza magnetica; ed è credibile nella sua capacità di trasformarsi in un uccello. Ho già lavorato con Eva e per me lei ha l’intensità di un’attrice del film muto. Non ha bisogno di parlare per scatenare emozioni.
Vede delle similarità tra i suoi “ragazzi speciali” e i supereroi che dominano il cinema americano?
Certamente i miei ragazzi hanno dei poteri, ma per me sono principalmente bambini, sebbene si sentano strani e differenti. Possiedono capacità che altri non hanno, ma alla radice restano bambini con le loro emozioni e voglia di giocare.
Cosa pensa dei ragazzi di oggi?
Al giorno d’oggi credo sia molto difficile essere ragazzi, è una situazione inquietante; si può dire qualsiasi cosa e non avere un volto, c’è un bullismo senza nome e senza faccia. Tutte le esperienze – i concerti, l’arte – vengono riprese attraverso lo smartphone, e alla fine non si riesce a godere il presente perchè lo si vive attraverso la mediazione di un dispositivo. Analogamente, i ragazzi giudicano il proprio valore e costruiscono la propria autostima attraverso il numero dei like ricevuti. È questo, per me, ad essere davvero disturbante.