Intervista a Fabius De Vivo

Un giovane, promettente attore, con il dono della consapevolezza...

In questa intervista Fabius De Vivo si racconta in maniera precisa, lucida e diretta. Fabius (ci tiene al nome, come leggerete) interpreta nel film di Marco Pollini, La grande guerra del Salento, un giovane tifoso che nel 1949 perse la vita durante gli scontri tra le opposte tifoserie calcistiche di due paesi della Puglia. Una “guerra” che mascherava contrasti più profondi e di natura politico-ideologica, negli anni immediatamente successivi al Secondo conflitto mondiale… 

Partiamo dall’inizio, dal tuo nome. Spiegami perché Fabius, intanto: è curioso, no?

(ride) Ti dirò che mi chiamo Fabius perché è il nome nel quale riesco a identificarmi di più. È stata una riflessione e una scelta molto ponderata. Dentro di me c’è un aspetto spirituale molto accentuato e attraverso delle conoscenze che ho ampliato nel tempo, ho capito che per avere un cambiamento davvero radicale, e per immergermi nella cosa che più mi appassionava, ossia la recitazione, dovevo fare questo cambiamento e accogliere tutto quello che mi stava riservando l’universo e la vita…

Fantastico… Quindi ti sei “ribattezzato” con un nome che riflette la tua natura e le tue aspirazioni?

Esattamente. Le mie radici sono francesi, e quando ero piccolo sono stato spesso in Francia, però, fondamentalmente, sono cresciuto in Puglia. Infatti, poi, ho recitato nella mia terra. In particolare, questo mio nuovo film, La grande guerra del Salento, per la regia di Marco Pollini, è stato girato tra Ruffano e Supersano, che sono due piccoli paesi, ideologicamente contrapposti, che si trovano nel sud della penisola salentina, dall’altra parte della Puglia rispetto a dove vivo io. Quindi, ho dovuto anche fare un lavoro importante sul dialetto, ho dovuto studiare quella diversa cadenza. Ma è stata una bellissima esperienza, soprattutto vivere due mesi in un casale, immerso nella natura. Ti devo confessare che sono sempre alla ricerca di posti come questo, perché pratico moltissima meditazione, quindi mi piacciono i luoghi in cui si respira aria fresca e che mi permettono anche di staccarmi dai ruoli che interpreto.

Di tornare a te stesso…

Sì e non perdere mai il contatto con la mia anima, fondamentalmente.

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Allora, nel film c’è di mezzo una rivalità feroce tra i due paesini che mi citavi, Ruffano e Supersano… Ci scappa pure il morto, cioè tu. Ed è tutto storico, accadde realmente…

Sì, assolutamente. Si tratta di una storia vera, verissima, appunto. Il 9 marzo del 1949, ci fu una partita di calcio, con un’invasione di campo da parte dei tifosi della squadra contrapposta, del Ruffano, contro il Supersano, che è la mia squadra. Io interpreto un appassionato di calcio, ma fondamentalmente sono trainato da un mio amico, che anche lui è uno dei protagonisti, ma riesco a non farmi travolgere completamente da questa passione, perché, avendo avuto contatto con la durezza della vita, ho sempre avuto ben presente quali fossero le cose più importanti e quali fossero i punti limite, oltre i quali non spingermi. Ecco, io fondamentalmente interpreto la persona che è stata la più lucida, la più razionale in questa tragedia, e che ha cercato di mantenere un distacco da tutto, ma ne ha, alla fine, pagato le peggiori conseguenza. Diciamo che questo è il mio primo lungometraggio importante… avevo fatto un altro film, prima, in Sicilia e svariati corti, ma questo è stato il mio primo ruolo così significativo, e per me è stato veramente un onore. Perché si tratta di una storia davvero onnicomprensiva.

In che senso?

La partita di calcio, in realtà, fu solo un pretesto. Un pretesto rispetto a tutto quello che era accaduto in quegli anni. Tu immagina… Perché si chiama “La grande guerra del Salento”? Perché per tre giorni fu come se fosse scoppiata realmente una guerra. Ho avuto il piacere di recitare accanto a Marco Leonardi, già premio Oscar… una persona splendida… Tra l’altro, siamo nati lo stesso giorno, il 14 novembre. Marco nel film interpreta il presidente della mia squadra di calcio, del Supersano, che aveva combattuto il fascismo. Mentre il presidente della squadra opposta, che è interpretato da Paolo De Vita, era stato un fascista convinto.

Quindi, il calcio non fu che un pretesto per uno scontro di tipo ideologico…

Esatto. Infatti… ma queste vicende che coinvolsero i due paesini del basso Salento furono caratterizzate da diversi elementi. Anche l’amore, per esempio. In particolare si parla, nel film, di due storie sentimentali e una è la mia con Giovanna, Martina Fonte, una storia molto intensa. Perciò, ho avuto modo di mostrare sia il lato romantico di Antonio, il mio personaggio, sia il lato, coraggioso, di un ragazzo-uomo che si fece carico delle difficoltà che stavano vivendo quei due paesini e decise di prendere in mano le redini della situazione.

Come ci si prepara per una storia del genere, che è complessa, evidentemente…? Avrai dovuto documentarti per il tuo personaggio…

Visto che questo film è ispirato al romanzo omonimo di Bruno Contini, e siccome io tengo sempre molto alla parte, diciamo, “tecnica” del mio lavoro, ho letto attentamente il libro, per potermi fare un’idea veramente onnicomprensiva. Per rendermi conto di cosa aleggiava attorno a questa storia, a questa morte così tragica: perché Antonio fu il primo giovane tifoso ad avere perso la vita nella storia d’Italia. Quindi, attraverso la fonte principale che era il romanzo, ho cercato di capire meglio la storia. E poi ho lavorato molto sul personaggio, partendo da cose che potessero accomunarmi a lui. Antonio rappresenta un po’ la parte razionale del sodalizio rispetto a Giulio, l’altro ragazzo, che è invece è la parte più impulsiva. Io, nonostante abbia appena 23 anni, come ti dicevo, ho avuto una vita molto dura e ho vissuto situazioni che mi hanno forgiato e, di conseguenza, ho dovuto capire fin da subito come riuscire a realizzare determinate cose, senza l’aiuto di nessuno. In qualche modo, ho rivisto in Antonio, paradossalmente, la possibilità, attraverso la sua storia, di poter dire qualcosa di me.

Beh, è molto raffinato, questo… Rivela un professionista…

Ti ringrazio. Più che altro, ti dico, pensando a questo tipo di contesto, io vengo da un paese della provincia di Foggia, San Severo, quindi da una realtà che tende, in qualche modo, a depennare la possibilità di farsi conoscere in un mondo così distante dalla concretezza. La recitazione è vista come qualche cosa di aleatorio, di distante dal vivere di tutti i giorni. E, invece, io ho deciso, anche andando contro i miei, inizialmente, di battere questa strada. Sai, quando hai un legame forte con la famiglia, agisce sempre il desiderio di tutelarti, di proteggerti. E quindi io, all’inizio, non ho avuto le porte spalancate. Studiavo giurisprudenza, e da qualcosa di  molto mirato alla realtà, alla realizzazione professionale, al pragmatismo, sono passato alla volontà, alla necessità, direi, di dare spazio all’amore che ho da sempre per il cinema. Io adoro la Nouvelle vague e, avendo radici francesi, il mio riferimento principale è Godard, mi sono innamorato anche di Truffaut. Fino all’ultimo respiro è uno dei miei film preferiti Insomma, avevo sempre cercato di avvicinarmi alla realtà del cinema in modo autonomo, indipendente. Non credo che basterebbe un libro per spiegare quanto la recitazione sia significativa per me, nella mia vita.

Ma si capisce perfettamente, da come ne parli, emerge chiaro questo concetto… 

Ti dirò, sono stato davvero felice di accogliere Antonio nelle corde della mia anima. Perché, lo ribadisco, io e Antonio abbiamo diverse analogie, quindi io, mentre stavo sul set, ho dovuto pensare di non stare vivendo l’attuale periodo storico. Da un punto di vista psicologico, ho dovuto cercare di esternarmi dall’oggi, dal qui e ora. Però, ci ho visto tante analogie, in Antonio… Per esempio, Antonio è un personaggio che, nonostante la forte razionalità, che lo fa restare un po’ a margine delle vicende che coinvolgono i due paesi in guerra, riesce a mantenere sempre un atteggiamento positivo nei confronti della vita. E io parlo da sempre di quanto sia importante questa disposizione mentale…

Sei molto seguito sui social, hai un sacco di followers, fai proseliti…

Diciamo che l’ho costruito nel tempo, perché, oltre la parte cinematografica, ho sempre cercato di trattare argomenti sui generis, dalla mindfulness, alla fisica dei quanti, alla legge dell’attrazione. Ecco, ad esempio: della legge dell’attrazione se ne parla sempre in modo abbastanza improprio, ma… è necessario agire! Perché la “rivoluzione” non potrai mai farla dalla tua cameretta, scrivendo su un foglio: “Voglio una vita di successo”. Hai bisogno di studiare, di formarti, di impegnarti e di indirizzarti verso quello che realmente può darti un’emozione. I pensieri e le emozioni sono, poi, ciò che forma la nostra realtà. E mi è piaciuto, per tornare al film, vedere come Antonio, pur mantenendo una linea razionale molto netta, aveva comunque una propensione al pensiero positivo, ad accogliere e a vivere ogni singolo momento bello della vita. A cercare di cogliere l’essenza da ogni attimo e da ogni situazione.