Intervista a Federico Zampaglione e Claudia Gerini
Raccontami la genesi di Tulpa. Come ti è venuto in mente di fare un film di questo tipo, un giallo?
Federico Zampaglione: A un certo punto, ho capito che volevo passare al giallo, perché, alla fine, è il giallo quello con il quale sono cresciuto e le sue atmosfere, in qualche modo, mi legano di più al mio Paese. Ho cominciato a pensare a un’atmosfera cittadina, lontana dai boschi, lontana da contesti tipici dell’horror. Ho voluto addentrarmi in una metropoli e raccontare tutte le minacce che si nascondono anche in una città come Roma. C’è stato un primo incontro con Dardano Sacchetti in cui gli ho chiesto delle idee da buttare giù per un film che avesse come scenario Roma Eur, con una donna protagonista e sullo sfondo il mondo dei privé, dove si fa sesso con sconosciuti, che è un mondo che sta prendendo sempre più piede, intrigante e misterioso. Sacchetti mi ha mandato un soggetto, bello lungo, sul quale ci siamo messi a lavorare con Giacomo Sensini e alla fine abbiamo rimandato la sceneggiatura a Dardano che l’ha un po’ “incrudelita” e, soprattutto, ha tirato fuori cose geniali sulle scene di morte, sulla parte più macabra, che poi è quella che lo caratterizza maggiormente.
Io ho cercato di metterci dei tocchi di modernità, di lavorare su questa fotografia molto luminescente, portando tutto il film a dei toni un po’ sopra le righe, che erano caratteristici del giallo, dove quello che accade è sempre piuttosto caricato rispetto alla realtà: non c’è un realismo assoluto, devi accettare che le cose vadano un po’ al di là e siano come dei quadri impazziti. Alla fine, mi è venuto fuori questo film che era esattamente come lo volevo fare: sento che l’idea che avevo in testa, più o meno, è stata realizzata.
Una cosa mi ha colpito, a proposito della rappresentazione della città: sei riuscito a creare una scenografia urbana molto particolare: Roma sembra deserta, come un quadro di De Chirico. L’iperrealismo del giallo si sposa con il surrealismo. Mi confermi che è l’effetto che cercavi, quello di una città aliena, in qualche modo?
Federico Zampaglione: Assolutamente sì, tanto è vero che alcune immagini, per ottenere una città così solitaria e abbandonata, le ho dovute girare mesi e mesi prima in pieno agosto, in una data in cui Roma era praticamente deserta. Devo dire che la scelta dell’Eur è una cosa che già dai tempi di Nero bifamiliare avevo in testa, tanto è vero che il film era ambientato in parte lì; è una zona che non fa quasi parte dell’architettura di Roma, è molto meno caratterizzata dai monumenti, dalle cose legate all’antichità ma ha un sapore metafisico, con geometrie assolutamente rigorose, angoli molto marcati…
È una zona che mentre di giorno è popolata di persone che lavorano, tutte concentrate negli uffici, che trasmette un senso un po’ mitteleuropeo, poi la notte si svuota completamente, diventa un deserto, senza nessuno: c’è molta prostituzione, ci sono locali che sembrano rimasti fermi agli anni ’80. Mi mette molta inquietudine.
Anche i rapporti tra le persone sembra che siano “congelati”, come vi fosse una sorta di rarefazione particolare. Chiedo a te, Claudia, se era un’atmosfera presente anche sul set?
Claudia Gerini: Dipende da dove stavamo, ogni set ha la propria energia. Tulpa è un film pensato in modo non naturalistico, nella cristallizazione di alcuni rapporti. Ognuno sta nella sua individualità, sembrano tutte persone molto sole in questa società molto “I”: I-pod, I-pad, “Io”. È la filosofia di coltivare la propria individualità, la propria identità. Anche lo scambio più intimo, quello del sesso, avviene come un rituale.
Infatti. Esiste questo elemento della ritualità del sesso nel film: lei va nel privé e, in qualche modo, celebra un rito…
Claudia Gerini: Sì, che poi finisce nel momento in cui varca quella soglia e torna tutto normale.
Uno dei punti di forza di Tulpa, Claudia, è la tua interpretazione, la tua capacità di dare al personaggio questa forza… perché è un personaggio forte e piuttosto strano…
Claudia Gerini: Io la vedo come una donna contemporanea, molto impegnata nel suo lavoro, quindi realizzata nella sua professione. Me la sono sempre immaginata come una donna molto sola, una bambina cresciuta da sola. Ha una doppia vita, perché di notte va nei privé… non dico che abbia una doppia personalità ma quasi. È una donna padrona dei suoi desideri più che oggetto del desiderio.
È un’eroina controcorrente rispetto ai personaggi che si vedono nell’horror o nel thriller, tutti bianchi o tutti neri…
Claudia Gerini: Sì, assolutamente. Poi nel meccanismo classico del giallo inizia una serie di omicidi quindi inizia l’ansia, l’angoscia anche per lei che sembra così tosta.
Parliamo, Federico, anche degli omaggi che tu fai a un certo tipo di cinema del passato (il thriller, Argento, secondo me anche Fulci): omaggi dissimulati, non delle semplici riproposizioni di situazioni che si potevano vedere in quei film. Tu le reinventi, ma hanno lo stesso spirito: penso ad esempio, alla scena della ragazza straziata sulla giostra, che mi ha ricordato Fulci…
Federico Zampaglione: Te l’avrà ricordato perché l’ha scritta Dardano Sacchetti e quindi appartiene a quel sadismo tipico suo, che è quello che vedevamo nei film di Fulci, con una nota morbosa e quasi malata. Io noto che Dario Argento nelle scene di morte era sempre più chirurgico e pulito, mentre Fulci andava verso la profanazione del corpo. Quella scena della giostra è un colpo di genio di Dardano. In effetti, quando l’ho letta nella sceneggiatura non sapevo se ridere, per quanto era orripilante, o esserne disgustato… però, alla fine, credo che sia una cosa che ha più a che fare con l’immaginario di Fulci che con il mio. Per il resto, ho cercato di non fare omaggi veri e propri, ho cercato di costruire un’atmosfera che potesse essere in linea con quelle di quei gialli, dandone però la mia versione.
Sì, sei riuscito a mantenere in molte scene lo spirito di quelle opere, ma lo hai sviluppato in modo originale…
Federico Zampaglione: Anche per le musiche, che ha fatto mio fratello Francesco, abbiamo cercato di non andare sul clichè automatico delle musiche da giallo ma di trovare soluzioni che fossero un po’ diverse, magari più vicine al jazz metropolitano o ad atmosfere di musica elettronica vagamente inquietante. La musica in un film del genere ha un ruolo essenziale, e se vai sulle atmosfere alla Goblin cadi nel gioco del risaputo. Quindi siamo stati attenti a dargli un sapore diverso, proprio per non cascare nell’omaggio fine a se stesso.
Già ce ne sono troppi di omaggi ai gialli. Vedo che in giro per il mondo esiste la tendenza a fare film copiati a carta carbone sui gialli italiani ma realizzati da persone di altri Paesi. Francamente non riesco a capire perché lo facciano: è come se vedessi che all’estero cercano di imitare la pasta fatta in un certo modo che si può mangiare solo a Roma o la pizza napoletana fatta a Bruxelles: per quanto tu la possa fare bene, il sapore sarà sempre diverso…
Mi piace in Tulpa la sua capacità di essere una cosa nuova all’interno di un panorama fatto solo di ricalchi. È la dimostrazione che si possono usare temi antichi come la morte e i delitti dandogli una fragranza inedita…
Federico Zampaglione: Io ho la presunzione di credere che questa cosa la possiamo fare solo in Italia… fatta con un certo credito, intendo: il nostro modo di essere è ben preciso, il confine tra bene e male, serietà e cazzeggio, sono troppo tipiche degli italiani. Per cui è venuto fuori un giallo che è l’espressione di un italiano che vive il suo tempo. Tulpa è un film che viene dalla pancia. Invece molti “compitini” fatti sul nostro giallo sono solo di testa: sono cose ragionate ma in realtà non hanno quella follia, quell’elemento anche, se vuoi, cazzaro che noi italiani abbiamo e ci viene spontaneo. Mentre l’horror è una faccenda da prendere sul serio, il bello del giallo è che magari ti ritrovi ad assistere a un omicidio terribile e due minuti dopo c’è qualcuno che dice una stronzata. Solo noi possiamo farlo, perché è la nostra mentalità. Si può imitarlo, ma non avrà mai lo stesso sapore.
Nel film ci sono situazioni erotiche particolari: rapporti sadici, lesbici, partouze. Hai avuto dei problemi in questo, Claudia?
Claudia Gerini: No, problemi veri no, nel senso che, ovviamente, c’è un po’ di imbarazzo quando devi fare un nudo sul set ma solo per il quarto d’ora iniziale (ride). Su questo set, in particolare, c’era una troupe ridotta, tutti ragazzi giovani… Eravamo molto “combat” perché dovevamo portare a casa tante scene in poco tempo e quindi essere sempre veloci. Nella scena del sesso a tre nel privé, io ero molto sicura perché c’era Federico dietro la macchina, era un punto di vista “protetto”. Altrimenti, forse, non l’avrei fatta, se non ci fosse stato il mio compagno; così sono riuscita a recitare in modo più rilassato. È stato un giorno molto particolare perché, appunto, dovevamo inventarci tutto e sempre in grande velocità.
Federico regista: tu hai fatto due film con lui, è cambiato, e come, dal tempo di Nero Bifamiliare oppure il suo approccio è sempre lo stesso?
Claudia Gerini: è molto sanguigno, molto attento, molto sicuro di sé, nel senso che sa cosa vuole tirare fuori e finché non trova quella particolare chiave per raccontare la scena, è nervoso. Sicuramente oggi ha più esperienza; e poi, con Nero bifamiliare non stavamo facendo un giallo e quindi era diverso: qui si muoveva proprio nel suo territorio, era esaltato. Mentre con Nero bifamiliare costruivamo le scene con un metodo più classico, andando per location eccetera, in Tulpa c’era un’aria diversa, quasi cospiratoria, perché stavamo facendo un giallo. Federico aveva grande voglia e fantasia, è uno molto energico sul set. Se non vengono le cose come vuole si innervosisce, ma alla fine prevale sempre il suo buon carattere e diventa anche divertente girarci.
Questo film, lo ripeto, l’abbiamo portato a casa in poco tempo. C’era poco tempo per provare e quindi ci siamo anche un po’ lanciati, solo accennando il percorso che avremmo fatto. A volte facevo le cose io, senza prove, quando ero da sola, con la macchina da presa, per gli inseguimenti, le fughe.
Tulpa ha una grande dignità formale: non si ha la sensazione che sia fatto con poco, ha una bellissima fotografia, una cura estetica notevole, ottimi attori. C’è attenzione a quello che è il “cinema”, mentre molto spesso gli indipendenti danno la sensazione di essere trascurati, sciatti. È solo una questione di budget?
Federico Zampaglione: Io in questo ci metto molto impegno, sono molto pignolo. Non mi va che queste cose vengano considerate di serie B, quindi la battaglia che sto facendo è quella di dimostrare un po’ a tutti che un certo tipo di cinema merita di nuovo uno spazio di primo piano, per cui cerco di coinvolgere cast di attori validi. Mi fa ridere che si sia scatenata una polemica per cui si dice: «Tu riesci a fare questo perché sei Federico Zampaglione»: allora, io vorrei qui stabilire un punto, caro Davide, e ricordare che quando mi presentai con la notizia che avevo girato un film horror, parlo di Shadow, l’accoglienza da parte dei forum, dei siti specializzati eccetera, fu talmente terribile che sono stato costretto ad andare all’estero, dove nessuno sapeva chi fossi come cantante – perché ovviamente a nessuno gliene fregava un cazzo dei Tiromancino –, e una volta che il film era uscito dappertutto, aveva partecipato a tutti i festival e l’avevano comprato in tutto il mondo, mi sono potuto permettere di rimettere il naso in Italia e avere un minimo d’attenzione.
Ma all’inizio, quando si è detto: «Zampaglione fa l’horror» c’è stata una risata gigantesca. Ho dovuto fare il giro del mondo per tornare qua e avere un po’ di credibilità. All’inizio, il fatto che fossi un nome conosciuto paradossalmente ha giocato a sfavore. Penso, per venire alla tua domanda, che i miei risultati siano frutto soprattutto dell’impegno, della cura, del tempo che ci perdo…
Girando Tulpa avrai avuto un approccio diverso rispetto a Shadow, che era un altro genere, un’altra forma mentis…
Federico Zampaglione: Assolutamente sì. In Shadow sapevo che, istante dopo istante, il mio unico obbiettivo era mettere angoscia, inquietudine, orrore e seguivo un po’ l’approccio del cinema horror, a volte anche serioso, parlo dell’horror europeo degli ultimi anni. Su Tulpa ho fatto altri ragionamenti: ho capito che era un quadro “tutto sgangherato”, e che era importantissimo che venisse fuori in questa dimensione. Shadow era la storia di un soldato americano, qui si parla di una realtà italiana con questi personaggi che vivono negli uffici, questa cialtroneria nel modo di comportarsi, il fatto che la gente abbia sempre una doppia faccia, quindi non c’è mai buono e cattivo. Qui partiamo dal fatto che c’è la protagonista che va di notte nei club a fare sesso con gli sconosciuti, quindi già diventa una situazione in cui non c’è proprio un eroe, un’eroina tradizionale, come dicevamo prima.
Ho adottato un altro tipo di ragionamento, ho voluto portare tutto all’estremo, raccontando una favola nerissima ma anche con uno spirito più divertito, con un po’ di sarcasmo e ironia, che è secondo me ciò che fa la differenza tra il giallo italiano e i thriller stranieri che sono sempre seriosissimi e non può succedere mai niente di esagerato perché non sarebbe credibile.
A proposito di personaggi eterodossi: uno è certamente quello di Michele Placido che con te, Claudia, intrattiene un rapporto indecifrabile…
Claudia Gerini: è molto ambiguo, sì, gli volevamo dare un sapore tale per cui non si capisse bene cosa c’era sotto, tra noi. Forse siamo stati insieme tempo prima, forse no, forse lui era sempre stato un po’ innamorato ma io non mi sono mai concessa. Non si capisce bene. Poi, sai, con Michele si è instaurata questa cosa in modo abbastanza istintivo, non c’era tanto in sceneggiatura, ce la siamo un po’ creata girando. Quando due attori si mettono a fare una scena viene fuori un colore, una sfumatura e la tieni. Mi ispiravo alle eroine hitchcockiane, queste bionde algide alle quali succede tutto.
Tu sei conosciuta più che altro come attrice di commedie, sei forse l’attrice più importante nel genere “brillante” in Italia. Com’è il tuo rapporto con l’horror?
Guarda, io da ragazzina conoscevo Dario Argento, ho visto i suoi film e, più o meno come tutti noi, ne sono rimasta affascinata o folgorata. Per me il giallo era lui. Poi, vivendo insieme a Federico, mi sono fatta una certa cultura, non sono un’appassionata naturale di questo genere, sono più che altro indottrinata (ride).
E tu, Federico, questo amore per il “nero” è una cosa che ti appartiene da tempo? All’epoca andavi a vedere questi film e ti piacevano?
Federico Zampaglione: Assolutamente, li vedevo tutti. Andavo sempre al cinema, i film di cui stiamo parlando li ho visti tutti o quasi, in sala tra l’altro. Ed è il cinema che ho sempre avuto nel cuore. Se io stessi facendo questa cosa per soldi… beh avrei potuto fare ben altro. Io, con l’attrice che – l’hai appena notato anche tu – è considerata un po’ l’attrice di punta per la commedia italiana (tutti i film che fa incassano un sacco di soldi), mi potrei fare scrivere una commediola, ho già tutto il parco attori, con la protagonista dentro casa… avessi fatto una cosa del genere, mi ci sarei arricchito senza colpo ferire.
Se sto portando avanti una battaglia così per un cinema che invece deve lottare per sopravvivere, mi sembra evidente che lo faccio perché lo amo. Sto andando contro i “soldi facili” che sto rifiutando di fare. Da una parte non mi dedico pienamente alla musica, che era il mio mestiere principale, dall’altra non ho fatto commedie sfruttando una situazione agevole: bisogna prendere atto che, io, questa cosa la sto facendo per passione, per dedizione e che non mi ha regalato niente nessuno. Ho dovuto essere bersagliato da una serie di dubbi perché magari uno con il mio background con l’horror non era credibile, però ho accettato la sfida e ho dimostrato che, evidentemente, qualcosa da dire ce l’ho.
Si può ragionevolmente affermare che oggi tu raccogli, anzi hai già raccolto, lo scettro di Dario Argento…
Federico Zampaglione: Dario lo considero ovviamente un artista imprescindibile per tutto quello che è stato questo tipo di cinema: lui è riuscito a fare diventare l’horror o il giallo un fenomeno di massa, perché, se togliamo Dario Argento, la massa non andava a vedere gli altri autori anche se erano altrettanto validi. Però Dario aveva quello “star power” che riusciva – per una serie di ragioni che andavano dal suo cinema, a lui come personaggio a tutto quello che sprigionava – a rendere questo genere assolutamente di massa. E questa è una dote che hanno in pochi, perché questo è un genere piuttosto di nicchia. Con Dario, fino a un certo punto, c’è stata grande amicizia e simpatia, io resto comunque molto legato a lui come fan. Negli ultimi anni i suoi film non sono a livello dei capolavori che ha diretto, ma questo è normale, perché in ogni carriera c’è un picco e poi momenti meno brillanti.
Quindi pensi che sia fatale questo “declino”…
Federico Zampaglione: Ho osservato questa cosa anche in molti artisti della musica, che erano talentuosi, pazzeschi, ma col tempo hanno perso un po’ della loro ispirazione. È fisiologico, credo. Quando si parla di Dario mi vengono in mente una serie di film senza i quali non mi sarei messo probabilmente a fare questo genere perché sono film che quando ho visto da ragazzino mi hanno segnato, come quelli di Fulci.
Ma infatti si nota, nel tuo cinema, la presenza di Fulci, questo Nume tutelare viene fuori…
Federico Zampaglione: Sicuramente Dario, come stile, aveva della cura in più, ma nell’horror Fulci resta imbattibile. Aveva qualcosa di maledetto che era solo suo.
Ti garantisco che per un appassionato vedere i tuoi film è anche bello per la possibilità di cogliere lo spirito, non la lettera, di certe cose fulciane. Una delle scene più toste di Tulpa è quella in cui l’assassino getta l’olio bollente addosso alla ragazza e poi si mette a fumare: è straordinaria secondo me, per come è sviluppata…
È bella sadica!
È crudele ma anche elegante: è il modo in cui si incontrano questi due aspetti che diventa emozionante…
Anche le scene di dolore e sofferenza hanno una loro estetica, pensa all’arte religiosa, a come venivano ritratti i martiri, o anche alle immagini della crocifissione di Cristo, che era sempre molto cruda come espressione visiva, però aveva alle spalle un discorso di cura estrema della luce, del particolare. Anche la sofferenza e il dolore possono avere una grande valenza figurativa, tutta quest’arte lo dimostra.
Qual è stata, in Tulpa, la scena più complessa, dal tuo punto di vista, Claudia?
Claudia Gerini: Quando entravo un po’ in un mood onirico: c’è quella scena dell’incubo in cui la ragazza demone mi prende, per esempio. Lì ci abbiamo messo un po’ di tempo perché c’era tutto l’effetto. Mi viene in mente questa, ma non è stata particolarmente complicata. All’inizio, come dicevo prima, è stata imbarazzante la scena di nudo, ma una volta deciso come disporci, ci siamo lasciati andare. No, non ci sono state scene difficili. C’è stato, invece, un incidente di percorso quando un giorno, durante le riprese, ci sono piombate addosso quattro volanti dei carabinieri. Stavamo girando dei dialoghi in macchina con Michele Placido e avevamo il fonico che registrava dal bagagliaio e che quidi, ad ogni stop, usciva per prendere fiato. All’Eur facevamo sempre lo stesso giro e forse qualcuno ha visto che chiudevamo il fonico dentro al bagagliaio e vedendo la macchina con i vetri scuri avrà pensato a un sequestro.
Noi stavamo andando piano, Federico riprendeva all’interno dell’auto: a un certo punto arrivano delle volanti e gli agenti, con la pistola puntata, ci intimano: «Scendete!». Noi non avevamo capito, ci siamo gelati. Continuavano ad arrivare volanti, io e Michele siamo scesi… è stata una scena terribile, il cuore mi è schizzato a mille.
Visto che sei la punta di diamante del nuovo movimento horror italiano. Ci sono molti film in ambito indipendente – e so che molti li vedi – che tentano di battere la strada dell’horror, del thriller dei generi “scuri”, ma tu sei quello che ha avuto più successo. In maniera molto spassionata, che giudizio dai di questi film?
Federico Zampaglione: Molto spesso si tratta di prodotti legati a una scena iper-indipendente quindi con dei budget che non permettono di raggiungere un livello di partenza, ad esempio il cast viene fatto con attori sconosciuti. Il problema è che il cinema indipendente in generale sta facendo una grande fatica, non solo l’horror o il thriller, perché servirebbe una nuova realtà distributiva: la distribuzione in sala è diventata qualcosa che non puoi mettere su tutti i film, altrimenti perdono interesse perché ci sono dei costi troppo alti; se si riuscisse a far partire bene un discorso di video on demand allora film con minor budget potrebbero avere più visibilità. Credo che ci siano state delle cose buone e interessanti, come il film di Cosimo Alemà.
A questo punto, sarebbe importante dire che il destino non solo di Tulpa ma del nuovo cinema di genere italiano, è nelle mani degli spettatori.
Federico Zampaglione: Assolutamente, sono loro e loro soltanto che a questo punto possono decidere sul futuro dell’horror, del thriller, del cinema di genere in senso più vasto. Noi facciamo i film, voi ne parlate, ma sono gli spettatori, gli appassionati, i fan quelli che devono andare al cinema e pagare il biglietto per vedere questi prodotti. Ciò significa credere alla possibiltà di una rinascita del cinema di genere italiano, che è già una realtà. Non so se ti ricordi quel che succedeva fino a qualche anno fa, quando nei vari Festival horror in giro pr il mondo non trovavi un film italiano nemmeno a pagarlo a peso d’oro. Io, prima con Shadow e ora con Tulpa, sono stato e sono presente in tutti i festival mondiali…
So che al FrightFest lo scorso settembre la gente faceva la coda per i biglietti di Tulpa…
Federico Zampaglione: Appunto…