Io e David Lynch. La vita e il mistero
La codirettrice del Ravenna Nightmare ricorda il grande regista che ha conosciuto
E le stelle hanno smesso di brillare per lasciare spazio al buio di una notte infinita, il silenzio è calato sulla settima arte il 16 gennaio 2025, quando è giunta la notizia della morte di David Lynch. David Lynch non c’è più, forse si è trasferito in una dimensione parallela per ricongiungersi con la sua essenza spirituale.
Llorando, cantava Rebekah Del Rio sul palco di Mulholland Drive (2001), così oggi il cinema si ritrova orfano; piangendo, come Naomi Watts e Laura Harring, in lacrime davanti all’illusione del grande schermo dove solo il dolore è reale. Falling scritta da David Lynch e l’adattamento di Badalamenti per la splendida voce di Julee Cruise ci accompagnava nel surrealismo onirico di Twin Peaks, tra gli alberi scheletrici, in quelle foreste cupe avvolte da coltri di nebbia, e quelle stesse note accompagnano mio figlio tra le braccia di Morfeo, ogni sera da quando è nato. Un tragico senso di solitudine e smarrimento ora che si è perso il padre di quell’immaginario unico, restiamo orfani della genialità di un artista che aveva fatto dell’arte il fulcro della sua vita, dalla pittura, alla fotografia, la musica, la scrittura e ovviamente il cinema, dove l’immagine è espansa, dilatata, composta e scomposta, baconiana, magrittiana, hopperiana, ma soprattutto lynchiana.
Il mondo di Lynch si svela sin dai suoi albori cinematografici: il buio, da cui affiorano figure frammentate, la deformazione fisica e i labirinti mentali, il dolore e l’uomo con le sue contraddizioni, come in The Grandmother, The Alphabet o in Six Figures Getting Sick. Il cinema di Lynch è il cinema del “sentire”, come lo stesso regista, ricordando Eraserhead, sua opera d’esordio nel cinema ufficiale, lo definì, asserendo di aver “sentito” il film e non di averlo pensato. Così il “non pensato” definisce il cinema lynchiano come un processo creativo istintivo, “le idee sono quanto di meglio in circolazione, ma bisogna essere sinceri verso di esse, anche se non le si comprende al cento per cento, perché se l’idea viene alterata si esaurisce”, sosteneva lo stesso Lynch nell’intervista rilasciata a Chris Rodley.
Il mistero. Un cinema istintivo ed emozionale che parla direttamente al cuore, passando per gli occhi, un cinema che porta in scena i fantasmi della notte, spettri che emergono dalla pesantezza del buio e si palesano nella materia immaginale, in un mondo lontano, un oltre che sfiora la realtà, scivolando in buchi neri dai quali affiorano solo immagini. David Lynch, uno dei più grandi maestri del nostro tempo, forse il più grande (sicuramente per me), non c’è più, ed è difficile accettarlo, è impossibile, così come è impossibile arrendersi all’idea di non poter più avere nuove creazioni/creature partorite dalla mente del suo genio visionario, che con le sue opere mi ha accompagnata lungo la strada dell’immaginifico, non solo cinematografico, spiegando l’umanità dei mostri e la mostruosità dell’umanità.
Negli ultimi anni Lynch si era dedicato alla meditazione trascendentale, facendone una vera e propria filosofia di vita, la promuoveva ovunque, tentando di diffonderla come terapia contro lo stress della vita contemporanea, ne supportava i benefici, vivendoli in prima persona, “la Meditazione Trascendentale dà un’esperienza molto più dolce della dolcezza di una ciambella, dà l’esperienza del più dolce nettare della vita, la pura coscienza di beatitudine, come dice Maharishi coloro che non lo sanno non lo sanno e coloro che lo sanno ne gioiscono”, affermava Lynch in merito a questa tecnica. Quando arrivò a Ravenna, nel 2017, si intrattenne in alcune scuole che avevano seguito il corso di meditazione trascendentale, grazie al progetto “L’arte del silenzio – Omaggio a David Lynch” che il Ravenna Nightmare International Film Fest, festival che codirigo con il fondatore e direttore storico Franco Calandrini, in collaborazione con la David Lynch Foundation. Il regista si fermò a parlare con gli alunni dimostrando disponibilità, gentilezza e sensibilità, poi riservò al festival una splendida masterclass, offrendo, oltre al suo genio artistico, la sua magnifica personalità, con il suo unico, elegante e misurato modo di porsi.
Lynch ascoltava con grande attenzione ogni singola domanda a lui rivolta e le sue risposte erano sempre accurate e puntuali. Ecco, quel giorno la vita mi ha donato un regalo prezioso, luminoso, qualcosa di raro che ti cambia profondamente, cambia il modo di vedere il mondo e il cinema, ma non solo. Il suo sguardo, profondo e al contempo tenero, infondeva sicurezza e serenità, una calma granitica, inscalfibile, risuonava nelle sue parole, una persona affascinante, da cui imparare, non solo l’arte, ma anche la consapevolezza dell’esistenza e il suo mistero. “I miei film sono come dei quadri filmati” – commentava Lynch – “ritratti in movimento imprigionati su celluloide. Tutto è stratificato attraverso il suono per creare atmosfere uniche. Sarebbe meraviglioso se Monna Lisa aprisse la bocca, ci fosse una brezza e lei si voltasse sorridendo”.
Nel buio, tra la matericità delle tenebre un baluginio di luce riesce sempre a emergere, è bello perdersi nell’oscurità alla ricerca di quel raggio, solo per goderne la luminosità o anche solo per lasciarsi scivolare in una notte buia. Come ricordava la signora del ceppo: “Io porto con me un ceppo – sì. Ti sembra una cosa buffa? Non lo è per me. Per ogni cosa c’è una ragione. Le ragioni possono persino spiegare l’assurdo. Abbiamo il tempo per imparare le ragioni che spiegano i diversi comportamenti umani? Io non credo. Alcuni trovano quel tempo. Li potremmo chiamare investigatori? Osserva – e vedrai cosa la vita insegna”.
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