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Psychokinesis

2018
Titolo Originale:
Yeom-lyeok
REGIA:
Yeon Sang-ho
CAST:
Ryu Seung-ryong (Seok-hyeon)
Shim Eun-kyung (Roo-mi)
Park Jung-min (Kim Jeong-hyeon)

Il nostro giudizio

Psychokinesis è un film del 2018, diretto da Yeon Sang-ho.

Psychokinesis è la nuova pellicola scritta e diretta dal regista sudcoreano Yeon Sang-ho, distribuita da Netflix a livello globale e molto simile all’operazione fatta l’anno scorso da Bong Joon-hoo con Okja. Il regista, per chi non lo sapesse, è quello assurto alla ribalta internazionale due anni fa per il clamoroso successo di Train to Busan, zombie-movie che ha avuto incassi da capogiro in patria e che si è fatto conoscere in tutto il mondo, dimostrando quanto la Corea sia ormai capace di sfornare opere notevoli non solo nel genere triller-noir (di cui il cult Memories of Murder di Bong Joon-ho del 2003, lo splendido A Bittersweet Life di Kim Jee-woon del 2005 e gli straordinari The Chaser del 2008 e The Yellow Sea del 2010 di Na Hong-jin sono tra i più fulgidi esempi), ma anche sdoganando definitivamente l’horror made in Corea (la cui strada era già stata aperta da Kim Jee-woon con il clamoroso thriller-horror I saw the Devil nel 2010), insieme senza alcun dubbio al sublime The Wailing di Na Hong-jin – di fatto uno dei migliori horror dell’ultimo decennio – (e non solo in Oriente), uscito sempre nel 2016. In Psychokinesis seguiamo le vicende di Seok-hyeon (Ryu Seung-ryong), uomo di mezz’età, che vivacchia tra un lavoro come guardia di sicurezza in una banca e piccoli furti, il classico sfigato in pratica, diciamolo pure, uno che di eroico non ha proprio alcunché. Il nostro ha anche una figlia che ha abbandonato e con cui non parla da dieci anni che all’improvviso lo contatta dopo la morte della madre avvenuta in circostanze drammatiche.

La figlioletta in questione, Roo-mi (Shim Eun-kyung), è impegnata attivamente nel cercare di proteggere il ristorante che gestisce dai soprusi della mafia del posto, al soldo di una società immobiliare corrotta che sta cercando di “bonificare” la zona per costruire un enorme centro commerciale. Proprio nei disordini avvenuti durante un attacco al locale, i gorilla aggrediscono lei e la madre, provocando la morte di quest’ultima. Nel frattempo Seok-hyeon dopo aver bevuto dell’acqua contaminata da una fontana in montagna, scopre di aver acquisito degli incredibili poteri telecinetici ed è a questo punto che irrompe nella vita della figlia, cercando goffamente di aiutarla. Ma non è di certo un classico supereroe alla Marvel: ha 50 anni, è fondamentalmente un egoista e ha la pancia. Ma in Psychokinesis, i superpoteri del nostro protagonista sono meramente uno strumento per porre l’accento altrove, e cioè sulle differenze di classe e sulle questioni sociali tanto care a Yeon Sang-ho (già emerse con prepotenza in Train to Busan e nel suo prequel Seoul Station, nonché nel suo folgorante esordio, King of Pigs, incentrato sul bullismo e in The Fake, imperniato sulla corruzione). Si tratta inoltre palesemente di un racconto di redenzione e in cui le dinamiche familiari sono preponderanti rispetto a quelle supereroistiche, che di certo non mancano ben intesi, ma che passano in secondo piano.

Il tono di Psychokinesis vira dal drammatico al grottesco molto spesso durante lo svolgimento della vicenda e le scene action in cui Seok-hyeon sfoggia i suoi superpoteri sono più sull’esilarante e il ridicolo che non scenograficamente perfette o di grande impatto visivo. Perfino gli effetti speciali non sono mai esagerati e anzi rimarcano una natura più “indipendente” del film, che lo fa avvicinare – piuttosto che a un blockbuster – a pellicole più intime come il piccolo gioiello misconosciuto Chronicle di Josh Trank. In definitiva, un ritratto amaro (pur con qualche sorriso) di una società profondamente imperfetta e corrotta e la storia di una famiglia disfunzionale viste attraverso la lente di un supereroe per sbaglio, con cui l’autore coreano, pur non graffiando come con alcuni dei suoi precedenti lavori (Seoul Station su tutti), confeziona un film gradevole e riuscito e, nell’attesa di vederlo di nuovo ruggire in una produzione più feroce, si conferma uno dei nomi più interessanti del cinema coreano contemporaneo.