The Hater
2020
The Hater è un film diretto da Jan Komasa, nel 2020.
Non dovremmo ingannarci sul conto di internet, facebook, twitter, instagram, sono soltanto munizioni e campi di battaglia evoluti che ospitano le vecchie dinamiche carnivore della savana sociale. Dalla Barbara Covett in Diario di uno scandalo (2000) a Lo sciacallo di Dan Gilroy (2014), il cinema ci ha regalato diversi outsiders diabolici capaci di introdursi nel sistema dal buco del culo, facendo le cose più terribili e mostrando un indiscutibile talento nello scatenare il caos strumentato. Il giovane Tomasz (Maciej Musialowski) cerca di partecipare al mondo seguendo le regole o meglio, fingendo di seguirle. In realtà, la sua faccia dimessa e i modi da ragazzino educato di provincia compongono la facciata di una divorante smania da arrampicatore. Cresciuto al cospetto della famiglia radical chic Krasucka, che è solita passare le vacanze nella casa in campagna vicino l’umile bicocca della famiglia di Tomasz, il ragazzo finisce per maturare il desiderio di farsi metaforicamente adottare dai meravigliosi esemplari cittadini che gli fanno odorare un mondo diverso, ricco di opportunità e ricchezze. Peccato che i suoi piani di conquistare un posto tra loro passando dal cuore di Gabi, figlia irrequieta dei Krasucka, finisca presto per risultare una strada impercorribile per il “creepy” Tomasz.
Il protagonista di The Hater finge di rigar dritto. Il sistema corrotto però smaschera presto il giovane squalo e prova a espellerlo, non per depurarsi, attenzione, ma perché se non sei così in gamba da farti scoprire, allora non vali un posto nel sistema. Il ragazzo però non si ferma. Avere un futuro all’università o dire di averlo, nella società di oggi non è in fondo la stessa cosa? Ci danniamo a costruire un futuro solido ma ne basterebbe uno posticcio che regga la fragilissima attenzione collettiva. Oggi ognuno di noi ha il suo piccolo palco da cui può illudere gli altri, e in fondo anche se stesso, di essere popolare, in ascesa, con un seguito, realizzato professionalmente. Qualcun altro poi metabolizza questi surrogati tascabili e utilitari del successo e finisce per sprigionare una voglia enorme di cancellarli per ribadire se stesso in un mondo in cui non trova davvero posto e non fa nemmeno finta di riuscirci. Da qui forse vengono fuori i Breivik, i James Holmes, che sparano su un’intera collettività l’invidia sociale che prima, tipi come John Hinckley, Mark David Chapman, Lee Oswald e Arthur Herman Bremer concentravano su un solo bersaglio rappresentativo del sistema rifiutante, che fosse Reagan, Lennon… Ma nemmeno questa del “massmurder” è una novità: risale ai tempi di Charles Whitman (1966).
Insomma non demoralizziamoci troppo. Il film di Kosama mostra un mondo osceno, certo, ma se togliamo la “crosta social” e gli squarci neri sul cielo dell’Europa, è sempre il solito vecchio mondo; c’è poca differenza rispetto a un qualsiasi romanzo di Balzac. La diffamazione, il tradimento e le congiure sono le consuete armi della politica. Tomasz non è il prodotto di questo “nuovo regno di apparenza” corrotto dalla rete ma è il vecchio teatro umano che continua a marcire nella propria instancabile commedia, anche fuori dall’analogico. Il ragazzo poi non si lascia corrompere allo scopo di farne parte: egli è già pronto per esso. Le sue lacrime sono apparenti sommovimenti “umaneschi”, spasmi raccapriccianti di vita in un corpo che è moralmente ed emotivamente già cadavere. Tomasz scopa, seduce, sorride, piange senza sentire nulla dentro. Il suo recitar meccanico esprime qualsiasi strumento emozionale senza avvertire nulla che non sia il grido infantile del suo bambino interno, proclamatosi, un lontano giorno, orfano della mesta provincia polacca e sempre speranzoso di farsi adottare dalla Grande Fogna laccata di perbenismo evoluto rappresentato dai Krasucka.