Exterminator
Il film che comincia dove finisce Il giustiziere della notte
Le sequenze iniziali di Exterminator sono incredibili. Nel senso letterale che non ci si crede che scene simili possano essere state girate per un film con un budget ancor meno che basso, dal momento che non sfigurerebbero in Apocalypse Now.
Siamo in Vietnam, infatti. Dentro un canalone imprigionato di roccia, un avvallamento che sembra un andito dell’inferno: fuoco ovunque, vampe colossali, esplosioni. E intorno il buio. La prima immagine è una deflagrazione in cui un uomo vola giù da un pinnacolo. L’inferno, ho detto e ho detto bene, perché si tratta di figurazioni dantesche. Le cose succedono in fretta: Robert Ginty e il suo compagno di colore Steve James sono catturati dai Vietcong: torture e teste che saltano recise da un machete. Ma il nero si libera, trita i nemici e libera Ginty che spara in testa a un Viet già ferito strisciante nella mota. Tac! Saltiamo a New York. Ma siamo sempre in Vietnam, sempre in quel budello asfissiante pieno di sangue, di fuoco: è cambiata soltanto la luce, che qui è cruda, bianca, opalescente. Non credo che Exterminator sia un remake di Death Wish, Il Giustiziere della Notte. Non lo pensavo allora, quando vidi il film all’Excelsior di Milano, una domenica pomeriggio infernale – tanto per restare in tema – un occhio allo schermo e l’altro ai finocchi che andavano e venivano tra il cesso e i corridoi del cinema. Era un’atmosfera più che congruente col film e perciò la menziono. A un certo punto di Exterminator, Ginty va a castigare col fuoco e con le pallottole gestore e cliente di una “conigliera”, un bordello con accesso sulla strada dove basta bussare, chiedere e ci si può levare lo sfizio, nell’allucinante NY, che di notte diventa color acido, di farsi un ragazzino o una ragazzina. Anche di bruciacchiarli con un saldatore, volendo.
Così, tra una cosa e l’altra, sullo schermo e fuori, finzione e realtà, si sperimentava un’eccezionale sensazione di sordido. Nemmeno adesso, rivedendolo, penso che il film di James Glickenhaus sia un rip-off del Giustiziere della notte. Ginty parla, agisce, si muove senza la “moralità” di Bronson, che quando lo vedi che ammazza i delinquenti ti senti legittimato a pensare che stia facendo una cosa giusta. Ginty no: si vede che è un personaggio, questo sterminatore, lì lì sulla linea d’ombra della psicopatia, nonostante quella sua faccia d’angelo, mite, paciarotta. Nonostante l’occhio bovino, innocuo. Va bene, c’è stato il Vietnam; va bene, qua è come là e se vuoi sopravvivere devi ammazzare per primo; va bene, al suo amico nero i teppisti hanno spezzato la spina dorsale rendendolo come un tronco d’albero. Va bene, tutto. Anche che l’incursione nella “conigliera” avvenga dopo avere visto che cosa hanno fatto con la fiamma ossidrica sul corpo di una mignotta minorenne. Ma Ginty non è un eroe ed è repellente. Ha qualcosa della serpe. C’è da chiedersi se fosse già nei programmi di Glickenhaus, regista e sceneggiatore, che la figura dello Sterminatore dovesse emergere in questo modo, con questi riflessi equivoci: comunque è un bene che l’esito sia questo, perché solleva il film, lo distingue, gli fa meritare di non essere intruppato coi giustizieri un tanto al chilo.
Glickenhaus non ha, tra l’altro, l’aria di essere uno stupido o un improvvisatore: lavora su un montaggio magari brutto ma sorprendente, che taglia via tutti gl intervalli e gli interludi, per arrivare subito e senza transizioni al centro delle cose. L’amico viene massacrato nel Bronx. Ginty dà la notizia alla moglie in un parchetto. Ginty tortura un teppista per farsi dire dove stanno gli aggressori. Ginty fa irruzione nel covo e secca i colpevoli, con un M16, sulle note di Disco Inferno. Il tutto in un tempo di poco superiore a quello che ci avete messo a leggere queste ultime dieci righe. All’epoca la scena che più colpiva, dopo l’inizio, era quella in cui Ginty sequestra un mafioso e lo appende su un tritacarne – sia lui sia l’amico nero lavorano in un macello – facendosi dare le chiavi di casa sua per andare a prendere i soldi nella cassaforte. Quello – italiano, naturalmente – gliele dà, ma non gli dice che in villa ha un dobermann ferocissimo. Lo sterminatore va, viene aggredito dal cane, lo ammazza con un coltello elettrico, prende i soldi, torna dal mafioso e ne fa polpette, azionando il tritacarne. Glickenhaus si guadagnò la fama di esperto di cinema di azione grazie a questo film. Non immeritata, perché The Sold (1982) con Ken Whale era molto buono; e poi firmò The Protector con Jackie Chan. Interessante sarebbe recuperare il suo debutto, avvenuto a metà degli anni Settanta, con Suicide Cult, sull’Anticristo o giù di lì, che chi lo ha visto giudica strano forte. The Exterminator scoppiò come un “caso”, fu venduto ovunque e fece un mucchio di soldi.
Robert Ginty – persona di cultura, laureato in lettere e pittore – visse di rendita da quel giorno e interpretò un buon numero di film d’azione, ma tutti di profilo piuttosto basso, tra l’America l’Europa e l’Asia, lavorando al soldo di Jean Marie Pallardy e di Umberto Lenzi, in Cop target. Nell’1984, si pensò di dare un seguito a The Exterminator. Ginty c’era, ma non Glickenhaus, e il timone della regia passò nelle mani del produttore (già del primo film) Mark Buntzman. L’operazione nacque sotto l’egida dell’allora potente Cannon. Ginty si chiama ancora John Eastman, ma al contempo è lo stesso personaggio di Exterminator e non lo è: l’hanno “normalizzato”, facendone un poliziotto che col suo collega di colore Frankie Faison è chiamato a “risolvere” il problema delle bande di teppisti e spacciatori che brulicano nella Grande Mela come vermi nel formaggio. Il capo dei capi è Mario van Peebles, detto “X”. La normalizzazione procede anche nel senso di dare a Ginty una ragazza, Deborah Geffner, ovviamente destinata a subirne di ogni, dalla storpiatura fino alla morte in cui si risolve il suo rapimento per mano di van Peebles. Finale baracconesco, con di mezzo persino un blindato, alla cui guida c’è Faison, e con Ginty armato di un assai poco cnematografico lanciafiamme e corazzato tipo palombaro. Titolo in Italia: Dominator. Forse perché pensavano che Exterminator non se lo ricordasse nessuno.