Dario Argento e Inferno. Alchimie orrorifiche – Cap. 2

Gli elementi distintivi e le musiche di un film oltre il tempo
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Non solo “barocchismi” – Gli elementi distintivi di Inferno

Animali e insetti di sorta (al posto delle larve di Suspiria qui troviamo le formiche), e lo stesso dicasi per due elementi centrali come fuoco e acqua, hanno una loro peculiare qualità in Inferno. Se ne trovano in abbondanza, e quando fanno la loro apparizione non segnalano mai l’arrivo di qualcosa di confortante. Sebbene alcune scene siano discutibilmente meno convincenti di altre, se paragonate fra loro, la perfezione insita nella ciclicità delle soluzioni visive che il lavoro presenta è pressoché innegabile. Inoltre, a differenza di altri progetti di Argento, antecedenti o successivi allo stesso, in Inferno si avverte un ritmo preciso e avvolgente, a indicare come anche sotto questo aspetto dovesse essere stato compiuto un lavoro certosino. E dunque poco importa, alla luce di ciò, se apparentemente nulla, nella trama, sembrerebbe essere portato a una supposta risoluzione, poiché il racconto, ancora secondo Argento, non è che “una vittoria del Male e della Morte” e quindi, al contempo, un insieme di vicende che slittano l’una nell’altra cambiando repentinamente. Del resto, ancora dalle pagine di Paura, il regista precisa come il “sogno” sia specificamente la cifra dominante di tutto il film, portando come esempio la sequenza particolarmente onirica in cui la Miracle è vista calarsi in un buco ricolmo d’acqua che si scoprirà essere un’intera stanza sommersa (dove giacciono strani oggetti di sorta e dove spunta pure un cadavere mezzo putrefatto). Per girare questa scena, Argento necessitava di un’attrice che oltre a saper recitare disponesse anche di una certa resistenza polmonare. La Miracle, che da adolescente aveva praticato il nuoto sincronizzato, fu inserita nel cast anche per questo motivo. Considerata l’atmosfera sin qui descritta, Inferno può quindi essere inteso come un horror soprannaturale; tuttavia, molti suoi elementi hanno una natura più “thrilling”, che in taluni casi si configurano come veri e propri rimandi ai grandi film del brivido prodotti del regista nella prima metà degli anni Settanta. Soltanto di analogie con Profondo rosso, se vogliamo, se ne trovano parecchie: dal suono dei passi dell’assassino che avanza, e di cui non viene mai rivelato il volto, alla scena in cui la Giorgi si reca alla biblioteca filosofica per cercare il libro delle Tre Madri, attraversando tendaggi rossi simili a quelli che in Deep Red accolgono gli avventori del “Congresso di Parapsicologia” (del resto lo stesso protagonista di Profondo rosso consulta una biblioteca per rintracciare un libro essenziale alle sue indagini), mentre poco dopo, ancora la Giorgi, viene chiamata a bassa voce (col nome di Sara, quello del suo personaggio) come succede a Daria Nicolodi nell’archivio della scuola Leonardo Da Vinci in quel capolavoro del 1975. Coltelli e mani guantate ritornano prepotentemente, in Inferno, senza tuttavia fare riferimento a una figura omicida ben distinguibile. Proprio a causa di questi suoi aspetti contrari alla linearità, come il fatto di non mettere al centro un vero e proprio protagonista cui identificarsi (nonostante questo possa essere indicato nella figura di Mark/McCloskey), Inferno è uno di quei passaggi della (miglior) filmografia di Argento a non essere stato propriamente compreso, poiché certamente difficile, laddove non si disponga della giusta preparazione, da apprezzare nella sua interezza. Inferno non può però essere considerato, alla luce di ciò, come un lavoro abulico e sottotono, dacché sebbene lo spettatore non rimanga angosciato o pietrificato dalla paura come dinnanzi alla visione di un Suspiria, che sarebbe stato impossibile per Argento superare, in termini di suspense, lo stesso spettatore ha la possibilità di perdersi in una conturbante fotografia, curata insieme a Romano Albani, e nel suo raffinato e al contempo detonante utilizzo espressionistico dei colori. Inoltre, la singolare modalità con la quale in Inferno vengono mostrati gli omicidi è ancora un altro aspetto caratteristico che risalta prepotentemente e su cui vale la pensa soffermarsi. Le azioni sono in questo senso sempre efferate e contraddistinte, una parte di esse, perlomeno, da un taglio tipicamente “vintage” che non riproduce sempre gli ammazzamenti nella loro interezza, lasciando invece all’immaginazione di chi guarda lo schermo il compito di completarne la fine (per esempio quando Rose viene ghigliottinata, non viene mostrata la testa separarsi completamente dal corpo, mentre altrove, durante un accoltellamento mortale, viene ripresa unicamente l’oscillazione del braccio di chi sta per compiere il delitto). Non a caso, anche i coltelli di colui o colei che uccide richiamano uno stile stagionato, diremmo a metà tra il già citato Bava e Alfred Hitchcock. Ancora come in Profondo rosso, in Inferno gli omicidi sono funzionali al mantenimento di un segreto di sorta, ma differentemente da quel film, allo spettatore non è dato di sapere quale sia precisamente questo dilemma, se non per il fatto che qualcosa di impenetrabile debba essere legato al mistero delle Tre Madri e alle architetture a loro connesse. Nel rispetto della figura del Fulcanelli, infatti, le dimore dipinte da Argento paiono imponenti, potenti e impenetrabili, e a volte si ha l’impressione che comunichino molto più dei (pochi) dialoghi che il film presenta.

Il coinvolgimento di un gigante del rock progressivo – Le musiche di Keith Emerson

La musica ha, ancora una volta, un ruolo centrale in un film di Argento. Se il Marcus Daly di Profondo rosso è un pianista, il Mark Elliot di Inferno è uno studente di musicologia che partecipa a una lezione incentrata sul “Va Pensiero…” di Verdi (la versione che si ascolta nel film è quella eseguita dal Coro e dall’Orchestra Sinfonica della RAI), il cui tema sonoro va legandosi in qualche oscuro modo alla catena misterica dei delitti. Sul piano globale, il film è accompagnato dalle musiche originali di un musicista estremamente preparato, il fu Keith Emerson (morto suicida nel 2016), già membro del colosso prog rock Emerson, Lake & Palmer. Prima di essere esortato da Argento a occuparsi di Inferno, ricevendo dallo stesso lo spunto di creare qualcosa che sul piano uditivo si rifacesse ai Carmina Burana, Emerson non aveva mai lavorato alla composizione di colonne sonore. Se infatti l’apporto compositivo dei Goblin era stato essenziale a rendere intramontabili le visioni di Profondo rosso e Suspiria, il lavoro di Emerson su Inferno avrebbe finito per tradursi, in ultima istanza, in una proposta di temi meno diretti, meno inquietanti, ma non per questo meno interessanti. Al pari del film che rappresenta, la soundtrack di Emerson andrebbe rivalutata con molta più attenzione: riascoltandola oggi (chi scrive lo ha fatto dal vinile originale, licenziato dalla italica Cinevox), a emergere è una cura dei suoni e un senso degli arrangiamenti ineccepibili, il tutto a creare picchi di inquietudine che si lasciano grandemente apprezzare. Il “tema principale”, dove si distingue la voce da soprano di Linda Lee è, si può dire, il punto cardine della colonna, il quale tema è infatti rivisitato e ripreso più volte fra i vari brani. Da esperto musicista, Emerson copre un’ampia gamma di territori sonori e stilistici, tra scorrerie prog e architetture colte dal taglio sinfonico, esimendosi però dal riscrivere quanto già fatto prima di lui da Simonetti, Pignatelli e gli altri (a loro volta influenzati dai trascorsi sonori di Emerson negli ELP). Memorabile è anche il pezzo che nel film anticipa i titoli di coda, “Mater Tenebrarum”, il cui severo coro lirico rievoca i nomi latini delle Tre Madri. Come qualche detrattore di Inferno avrà già fatto notare, alcune sequenze sonore sembrano effettivamente poco sincronizzate o comunque non troppo in linea con l’azione che si svolge sullo schermo (pensiamo ai secondi conclusivi delle scena dei topi già citata). Si tratta effettivamente di una stranezza, dal momento che Emerson, lo si evince dalla visione di uno speciale RAI d’epoca dedicato al film, doveva essersi attenuto direttamente al girato nell’eseguire le sue parti.

Un film oltre il tempo – In conclusione

Nel mentre Inferno si apprestava a essere distribuito nelle sale – in Italia sarebbe uscito l’8 febbraio 1980 – gli executive dell’americana 20th Century Fox, che produceva la pellicola, si mostrarono scettici davanti all’ipotesi che un film così difficile e complesso potesse ottenere riscontri di pubblico importanti. Fu questo il motivo per il quale Inferno non fu propriamente distribuito, non potendo quindi godere di un’esposizione internazionale più estesa. Secondo Daria Nicolodi, il problema fu che trattandosi di un film dell’orrore, fu osteggiato per principio dall’industria e dai distributori – disse questo nonostante il proliferare del genere durante tutti gli anni Settanta, in primis negli Stati Uniti. Quasi quarantacinque anni dopo, nondimeno, Inferno non sembra essere stato intaccato da alcun processo di invecchiamento. Esso continua a rifulgere di mistero e di splendore, esattamente come il volto di Ania Pieroni, che nel film appare fugacemente, quanto basta per lasciare un segno indelebile. Si dice che il suo personaggio senza nome sia in realtà quello di Mater Lacrimarum; in molti reputano questo assunto una certezza, anche se stando a una dichiarazione di Daria Nicolodi, in sé una frecciata al film La terza madre, che avrebbe chiuso la supposta trilogia, a Lacrimarum, da parte di Argento, non fu mai veramente data una rappresentazione effettiva (una rappresentazione credibile, tanto per capirsi). Dopo Inferno, il regista ritornò al thriller/slasher con un lavoro cui diede, forse non a caso, il titolo di Tenebre. (Pieroni riappare nel cast del suddetto film, ancora prepotentemente – è la vittima del primo omicidio). Tre anni dopo Inferno, l’ottavo film dell’amato regista ripartiva dall’elemento del fuoco, il fuoco alto di un camino, in questo caso, emanante un suono scoppiettante e avvolgente. Le tenebre di Tenebre, sentì di chiarire il suo stesso artefice, erano però quelle “dell’anima”, cioè “le tenebre interiori, quelle che nascono dal nostro spirito, e che qualche volta si rivelano”.