Alice in Borderland
2020
Alice in Borderland è una serie tv del 2020, creata da Yoshiki Watabe e Yasuko Kuramitsu.
Ryohei Arisu è un gamer apatico, un neet sul filo dell’hikikomori, non foss’altro che un paio di amici li frequenta. Ha un rapporto turbolento con la famiglia, che non ne accetta lo stile di vita, e vive per lo più alla giornata, impegnandosi solo con i suoi amati videogiochi. Un giorno, di sorpresa, Arisu e i suoi amici si ritrovano catapultati in una Tokyo alternativa, per buona parte spopolata, in cui per non venire uccisi da misteriosi laser che li bersagliano dal cielo sono costretti a prendere parte a giochi sempre diversi, rompicapo violenti dagli esiti letali per i perdenti. Per orientarsi nei giochi, e nella città, hanno a disposizione dei cellulari che indicano la difficoltà e la tipologia di ogni gioco con una carta. Man mano che i ragazzi imparano i meccanismi che regolano questa situazione allucinata, fanno conoscenza con altre persone che, come loro, ci si sono ritrovate loro malgrado. Sarebbe elegante classificare Alice in Borderland come un lavoro colto, ricco di citazioni e rimandi a numerosi classici moderni del fumetto e dell’animazione giapponese.
Elegante, ma non del tutto esatto. Perché la citazione è un gioco simpatico ma fino a un certo punto, soprattutto quando alla base c’è un prodotto stanco, che dagli stereotipi del genere non se ne esce e macina cliché su cliché in un festival del già visto che stanca abbastanza in fretta. La serie sembra proprio un fritto misto di situazioni già viste riassemblate spostando qualcosa qui e qualcosa là, senza aggiungere uno spunto minimo per portare un valore aggiunto allo spettatore. Alice in Borderland è una serie piuttosto piatta, che vuole stupire con la tensione a buon mercato delle situazioni à la Saw l’enigmista, non fosse che Saw è uscito qualche annetto fa. La situazione non migliora con il proseguo della storia che vira sulle dinamiche di potere della classica pseudo comunità di sopravvissuti vista e stravista in centomila narrazioni post apocalittiche, anche qui senza mai tentare nemmeno un timido accenno a una riflessione che non sia la solita sociologia da bar un tanto al chilo.
Non manca poi qualche errore grossolano nella scrittura dei personaggi che già da soli non brillano per carisma o per caratterizzazione, se poi vengono fatti uscire di scena quando iniziano ad acquistare un minimo, non tanto ma un minimo, di spessore e interesse, gli sforzi per appiattire completamente la serie vanno tutti a buon fine. Gli indizi che gettano uno spiraglio di luce sul mistero alla base dell’ambientazione arrivano infatti in un momento di disinteresse totale, e l’apertura di scenari che fan fare ai protagonisti il proverbiale, telefonato, salto dalla padella nella brace non accendono nello spettatore la minima curiosità di vedere una seconda stagione. Alice in Borderland,visivamente, non è nemmeno malvagio, non è originale ma niente lo è in un’operazione che ha fatto dei meccanismi e degli archetipi degli anime e dei manga un esercizio di stile tutto estetica ma completamente svuotato da tutto il resto, banale e inutilmente sopra le righe. In definitiva, ci troviamo davanti a un’opera trascurabile, sottoprodotto della sovrabbondanza di serie TV in un momento storico in cui le piattaforme hanno bisogno di stare dietro a un pubblico avido, a volte con dei tappabuchi da dimenticare presto.