Fear Street Parte 1: 1994
2021
Fear Street Parte 1: 1994 è un film del 2021 diretto da Leigh Janiak.
Da tempo, mettere a paragone i prodotti della nostalgia commercializzata con i suoi modelli ispiratori sembra fuori fuoco. In quello che bene o male è un genere di riferimento della modernità (costruire media d’intrattenimento sul recupero di estetiche morte e sepolte), con i suoi stilemi e le sue regole, il rapporto con gli “originali” va anzi perdendo peso: e in film come Fear Street Parte 1: 1994, il gioco dell’imitazione (dello slasher virato teen drama di metà anni ’90, in questo caso) non è neanche più una priorità. Che l’impianto iconografico dell’operazione guidata da Leigh Janiak “mangi” sul ricordo di film già fatti, è constatazione lapalissiana: va piuttosto riconosciuto come, nella gerarchia interna di un sottogenere dal quale è ormai legittimo pretendere uno straccio di maturità, si stia finalmente provando a mettere sul piatto qualcosa di più. Già a partire dal format, il nuovo progetto Netflix è un figlio del suo ormai completamente deragliato tempo produttivo; non una serie, né una mini, ma neanche il capitolo introduttivo di un nuovo franchise. Piuttosto, la collocazione streaming ha permesso di comprimere in tre settimane la distribuzione di una trilogia che, in altri contesti storici, si sarebbe trascinata per 6-7 anni – un sequel alla volta, in balia di incassi e analisi di mercato. Le nuove piattaforme, in bulimia di contenuti, possono permettersi di bypassare queste tappe: le nuove saghe vengono girate e buttate fuori tutte assieme, in pacchi regalo, tre film al prezzo di zero, legati ma fruibili singolarmente. E’ la moderna e digitale reincarnazione dei vecchi double (o triple) feature dei cinema grindhouse: forse la definizione ultima del fenomeno-Netflix.
Fear Street Parte 1: 1994 è ben conscio di giocare in un campionato affollato, figlio in un generatore di contenuti a getto continuo per i quali il solo “fattore nostalgia” ha smesso da un pezzo di rappresentare un plus. A imitare Reiner, Spielberg o Donner (Rip) sono buoni tutti – figurarsi Wes Craven e Stephen King: in termini banalmente creativi, è necessario portare qualcosa in più. Se dunque il primo film della trilogia si apre con la millesima riedizione del classico prologo di Scream, lo sfoggio di necrofilia filmica si rivela una falsa pista, pretesto per impostare un racconto proprio. Andando oltre l’effetto “viaggio nei ricordi” su cui sembra esaurirsi l’intera ragion d’essere di molti prodotti analoghi, il primo atto dell’operazione sembra impostare un discorso consapevole sull’horror e il suo ruolo sociale nella formazione di un’identità condivisa, raccontando ancora di una nuova Derry, della sua storia, dei suoi cittadini e dei suoi tanti mostri. Dove poi questo discorso vada a parare, se mai lo farà, lo si capirà strada facendo. Cosa resta dell’omaggio nostalgico? Fear Street Parte 1: 1994 non è un film del 1994: non gli somiglia, non ne ha il look né di certo il ritmo, e al netto della straniante assenza di smartphone verrebbe difficile collocarlo nell’anno del titolo. L’opposto di quanto alimentava il successo di proposte come Stranger Things, altro tentpole Netflix che la trilogia neanche tanto velatamente ricalca: lì, era un racconto che viveva riflettendosi costantemente in un vecchio cinema, e che trovava il suo senso nel legame emotivo degli spettatori con esso; in Fear Street, la relazione con i modelli è superificiale – e ad essere cercata è invece una nuova idea di modernità.
Modernità che passa anche per i suoi rozzi ma simpatici statement liberal-populisti da Animal House millennial, buttati dentro per accumulo al fine di svoltare recensioni positive sui siti generalisti (tattica che l’intrattenimento USA ha sdoganato da un pezzo, anche a livelli più alti). Piccoli accorgimenti che rispecchiano il fine ultimo dell’operazione: restaurare l’horror novecentesco innestando personaggi nuovi a un’iconografia classica, estrapolata dal proprio immaginario di riferimento in favore di un tempo metatemporale e metacinematografico (questa, da sempre, la cifra dell’autore R.L Stine). Tutto da vedere se il puro, leggero horror estivo da grande pubblico non perda i pezzi alla lunga distanza, stemperando il proprio impatto su ambizioni fuori controllo (problema atavico nell’anarchia produttiva Netflix). Ai primi 110 minuti (che volano), Fear Street non dimostra certo l’esplosività creativa del Conjuringverse, né i valori produttivi di tanti altri Originals più blasonati. Ma è fresco, divertente e sorprendentemente gore: una valida proposta su cosa possa essere oggi lo slasher teen.