Qui non è Hollywood, ma Avetrana
Malgrado i moralismi, una serie oscura sull'Italia invisibile

Ad Avetrana non succede mai niente. Proprio per questo, quando succede qualcosa di grosso, quel fatto non ha mai un reale epilogo. Continua a vivere sospeso nel tempo, smontato, ricostruito, riesaminato, narrato in più versioni. È il destino dei piccoli posti invisibili, quelli in cui vivono poche anime, luoghi sperduti di cui non si sa nemmeno l’esistenza che improvvisamente prendono vita perché succede qualcosa di brutto. Un fatto di sangue in famiglia – come vuole la tradizione italiana – che tra le mura familiari deve rimanere, al punto da negare ogni evidenza: ai media, agli inquirenti, a sé stessi, oltre ogni ragionevole dubbio.
Qui non è Hollywood, la miniserie di Pippo Mezzapesa disponibile su Disney+, descrive in modo suggestivo la trasformazione di Avetrana: da paesino lento, bruciato dal sole a salotto mediatico di quart’ordine. Un profondo Sud dove non solo il paesaggio ma anche chi lo abita sembra arso e avvizzito, come lo zio Michele (interpretato da Paolo De Vita), incartapecorito, con un volto marrone sozzo e due occhi azzurri piegati all’ingiù da cane bastonato. Realtà in cui a comandare sono le matrone, severe e corpulente, come Cosima (Vanessa Scalera), che amministra la vita casalinga sottomettendo in ogni modo – tranne quello sessuale – il marito Michele, destinato a un sofà marcio in garage mentre la moglie divide il talamo con le figlie, femmine anche loro.

Federica Pala e Giulia Perulli in Qui non è Hollywood
A dispetto del primo poster che tanto ha fatto parlare, Qui non è Hollywood si distacca nettamente dai prodotti fiction pieni di macchiette e caricature. Il lavoro di somiglianza attuato sul cast è impressionante ma non scade mai nell’imitazione forzata, mantiene un registro realistico – per averne la conferma basta ripescare gli episodi di Un giorno in pretura dedicati al caso. Protagonista indiscussa della serie è Sabrina Misseri, interpretata da Giulia Perulli, ragazza con le sue amicizie, un lavoro in nero da estetista, le uscite al mare e un corpo che detesta. Infatti se lo strizza in tutti i modi dentro vestiti troppo striminziti per fare colpo su Ivano (Giancarlo Commare), la sua ossessione, il galletto del paese. Perché in un posto invisibile come Avetrana, dove le massaie si imbellettano e si fanno massaggiare le carni flaccide per sentirsi più toniche, anche un ragazzo anonimo ma sicuro di sé può trasformarsi in Alain Delon. E poi c’è Sarah (Federica Pala), che ogni giorno fa lo stesso tratto di strada per andare a dalla cugina più grande, Sabrina. A casa sua non ci vuole stare: il nonno è malato da tempo, la madre è una fanatica religiosa e il padre pronuncia a fatica una frase di senso compiuto. Sarah è bionda, magra, longilinea, ha un corpo che Sabrina invidia, soprattutto da quando Ivano ha iniziato a notarlo. Mezzapesa, però, non angelizza la vittima, la mostra per quello che è: una ragazzina che si diverte a sedurre, provando il brivido di essere al centro dell’attenzione in un gruppo dove tutti sono più grandi di lei. L’epilogo lo sappiamo tutti, persino Sarah lo avverte nelle sequenze tra l’onirico e il fantasmagorico del primo episodio. Tutto è pregno di morte: i vecchi che si trascinano per strada, il cucciolo di gatto stecchito sotto il sole, il rosso sangue della passata di pomodoro che imbratta la famiglia Misseri durante un acceso litigio.

Sarah Scazzi e Sabrina Misseri (dalla puntata di Un giorno in pretura)
I panni sporchi si lavano in casa, eppure la notorietà fa sempre gola. Soprattutto in un posto dove non accade nulla, ad agosto, sotto il sole che scalda l’asfalto pestato da giornalisti, avvoltoi, paparazzi e animatori di tour del macabro. Tutti diventano protagonisti senza cognomi: la cugina Sabrina, zio Michele, Ivano il bello, la piccola Sarah. E la storia vende perché spaventa ma rassicura: quella famiglia disfunzionale deve essere l’eccezione, la mela marcia. Mezzapesa mostra esattamente quello che è accaduto in quell’estate del 2010 quando il caos mediatico si è mostrato crudele al pari del delitto che voleva narrare, dando voce a chiunque, anche a chi non aveva nulla da dire. Quella dei Misseri è una famiglia terribilmente normale raccontata nella sua banalità in Qui non è Hollywood, titolo azzeccatissimo, nonostante sia stato rimosso “Avetrana”. Succedeva lo scorso ottobre quando il sindaco del paesino, Antonio Iazzi, ha presentato un ricorso cautelare d’urgenza per chiedere di sospendere l’uscita della serie. A suo dire, Avetrana rischierebbe di essere descritta come «ignorante, retrograda, omertosa». A quanto pare il reato di diffamazione si può applicare anche a un’intera comunità. Eppure non si definisce “omertoso” chi preferisce rifugiarsi nel silenzio? Caro Iazzi, raccontare non significa necessariamente spettacolarizzare.
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